L’unica certezza è che gli operai vedranno peggiorare le loro condizioni di lavoro, mentre l’ipotetico rilancio della Fiat – che spera di vendere milioni di auto, non si capisce a chi – resta un programma ancora vago, senza impegni precisi. Per i 5200 dipendenti di Mirafiori (età media 48 anni, molte le donne) il futuro è tristemente chiaro: 18 turni, otto ore filate senza mangiare, tre pause per i bisogni fisiologici, 120 ore di straordinario obbligatorio e il divieto di ammalarsi in prossimità delle feste. Scoraggiato lo sciopero, i rappresentanti dei lavoratori saranno scelti da chi ha sottoscritto il diktat della Fiat. Mentre l’establishment italiano condanna la resistenza della Fiom come “conservatrice”, non si domanda se il progetto “Fabbrica Italia”, nel cui nome viene imposta questa nuova disciplina del lavoro, abbia qualche probabilità di essere davvero realizzato.

«Nessuno, tranne Massimo Mucchetti – scrive Guido Viale sul “Manifesto” – ha rilevato che i 20 miliardi dell’investimento non sono in bilancio e non si fiat Pandasa da dove verranno. Nessuno può né deve sapere a chi e che cosa saranno destinati». Per ora ci sono solo promesse: 1.700 milioni di “investimenti” per due fabbriche, 10.700 lavoratori e tre nuovi modelli di auto, per una produzione complessiva di circa mezzo milione di vetture all’anno. Se un modello resta in produzione tre anni, l’investimento è pari a mille euro per vettura: non molto. «Nessuno – o quasi – si è chiesto quante possibilità ha Marchionne di vendere in Europa un milione all’anno in più delle vetture che promette di produrre in Italia», continua Viale. Di fronte a un mercato stagnante, Marchionne dice di voler sottrarre almeno Massimo Mucchettiun milione di vendite alla Volkswagen o alle imprese francesi, ben sostenute dal loro governo.

«Difficile crederci, proprio ora che Fiat perde colpi e quote di mercato sia in Italia che in Europa: per riuscire a piazzare mezzo milione all’anno di Alfa (vetture, non marchio), è già stato detto che dovrà venderle sulla Luna». Secondo Viale, che le quotazioni della Fiat crescano «è solo il segno che la Borsa è ormai una bisca, fatta per pelare il “risparmiatore”». Nessuno si è veramente chiesto che futuro abbia, tra picco del petrolio, contenimento delle emissioni e misure anticongestione e inquinamento, l’industria dell’automobile in Europa e nel mondo. Eppure il tema meriterebbe qualche riflessione. In Europa c’è già un eccesso di capacità produttiva del 30-40 per cento; negli Stati Uniti anche: “Il Sole 24 Ore” del 6 gennaio ci informa che «nei prossimi cinque anni» anche in Cina – la nuova Fiat Mirafiorifrontiera del mercato automobilistico mondiale – ci sarà una sovracapacità produttiva del 20 per cento.

La “modernizzazione” al sostegno della quale è sceso in campo, con spirito militante, tutto l’establishment italiano, è questa: «Una corsa verso il basso delle condizioni di chi lavora, facendo delle maestranze di ogni fabbrica una truppa in guerra contro le maestranze della concorrenza (sono peggiorate molto anche quelle degli operai tedeschi e francesi, nonostante i salari più alti: basta considerare l’aumento delle malattie professionali) e, come premio per tanti sacrifici, la desertificazione del pianeta Terra. Se questa è la “modernizzazione” – e che altro, se no? – diventa anche chiaro che cosa significa opporsi alla sua sostanza e alle sue conseguenze». Chi ha Fiat 500magnificato la globalizzazione dovrà ricredersi: la condivisione dovrà sostituirsi alla competizione.

Viale auspica la nascita di un nuovo mondo, dove la cura del bene comune prenda il posto della corsa all’appropriazione privata. Ci vorranno anni o decenni, perché quel mondo «va costruito pezzo per pezzo, a partire quasi da zero, ma sapendo che una “moltitudine inarrestabile” composta da migliaia di comunità e da milioni e forse miliardi di esseri umani, ciascuno a modo suo, già lavora in questa stessa direzione». Il ricatto di Mirafiori dimostra che oggi non ci sono alternative pronte, che pure si annunciano come inevitabili: «Lo ha capito anche la Fiom: l’alternativa è ormai la conversione ecologica del sistema industriale, a Guido Vialepartire dall’industria automobilistica – per il suo peso, il suo ruolo e le sue devastazioni». Auto ecologica? No: mobilità sostenibile.

La “modernizzazione” di Marchionne sta cambiando a passi forzati il ruolo dei sindacati, continua Viale: «Quelli firmatari hanno scelto per sé la funzione di guardiani del regime di fabbrica: che era quella dei sindacati “sovietici” ed è quella dei sindacati della Cina “comunista”. Cambia anche il ruolo dei sindacati che non rinunciano alla difesa dei lavoratori e al conflitto». “Uniti contro la crisi”, il raggruppamento convocato il 22 gennaio a Marghera, affronterà proprio il problema della riconversione. «È un progetto che intende coinvolgere la totalità dei movimenti ambientalisti, gran parte dei comitati e dei collettivi che si sono battuti in questi anni per “un altro mondo possibile”». Con loro, studenti,  ricercatori e docenti: obiettivo, un impegno di respiro strategico per uscire davvero dalla crisi, con soluzioni più serie di “Fabbrica Italia” e delle altre trovate neo-feudali di cui si affollano le cronache del 2011

(info: www.ilmanifesto.it, www.guidoviale.blogspot.com).

Fonte: Libre

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