Si diceva "usato sicuro" e fino a ieri riguardava soprattutto l’automobile. Ora è molto di più: in America siamo in pieno boom della "ri-manifattura", tutte le grandi industrie si lanciano nel nuovo business, per dare una seconda vita ai loro prodotti.

Telefonini e computer, lavastoviglie e aspirapolvere, fotocopiatrici e televisori: ogni apparecchio vecchio ripassa in fabbrica, lì viene ringiovanito, poi torna sul mercato con tanto di garanzia, e a prezzi scontati. Perfino macchinari molto sofisticati: apparecchiature biomediche per la Tac, scavatrici per lavori edili, locomotrici ferroviarie. È un intero segmento nuovo dell’economia americana: 100 miliardi di dollari all’anno, tanto valgono i prodotti "ri-fabbricati" e messi sul mercato. Mezzo milione di lavoratori americani sono impiegati in questo settore. E non da piccole imprese artigianali. Tutti i colossi dell’industria Usa si sono lanciati in questa nuova vocazione: General Motors, General Electric, Xerox, Kodak, Caterpillar. Oggi l’associazione del settore esce allo scoperto con un’iniziativa di alto profilo, un summit con l’Amministrazione Obama. All’ordine del giorno: come sviluppare ancora di più un’attività che offre benefici evidenti all’ambiente, e alle tasche dei consumatori. Come superare diffidenze e ostacoli che impediscono una diffusione ancora più ampia del "riuso". I problemi non sono tanto sul mercato americano, che è di gran lunga il più avanzato: per una volta
rovescia l’immagine del consumismo più vorace e distruttivo del pianeta. I big della "ri-manifattura" lamentano soprattutto gli ostacoli alla loro espansione nel resto del mondo. In molti paesi la legislazione locale traduce un’atavica diffidenza per l’usato: si teme sia scadente, inaffidabile, pericoloso. Il Giappone, con la sua alta tradizione di qualità del servizio al cliente, è uno dei mercati più chiusi verso l’usato. La Cina, già afflitta dalla diffusione della pirateria, quando compra "made in Usa" vuole prodotti nuovi fiammanti. Altri paesi emergenti come il Brasile vietano tassativamente il commercio di apparecchiature mediche usate perché sospettano un tentativo di rifilare ai loro ospedali macchinari di serie B, non all’altezza delle tecnologie più avanzate.

E’ su questi pregiudizi che interviene il summit di Washington, tra la coalizione dei 20 big del settore e il Consiglio sulla Competitività che riunisce gli esperti economici di Obama. Impegnando il nome di celebri multinazionali, si vuole sconfiggere il pregiudizio. L’usato, quando viene resuscitato ripassando nella stessa fabbrica che lo ha prodotto la prima volta, può essere altrettanto sicuro ed efficiente del nuovo. La General Electric ha conquistato una tale credibilità negli ospedali americani che l’anno scorso ha venduto 1.500 apparecchi usati per l’ecografia, in aumento del 10%. Per l’Amministrazione Obama la nuova tendenza va incoraggiata: aiuta le fasce di consumatori meno abbienti, perché mette sul mercato apparecchi che possono costare la metà del nuovo; inoltre abbatte i danni ambientali, sia il consumo di energia nella produzione industriale, sia l’accumulazione di "discariche elettroniche" altamente inquinanti. Fino a ieri un altro ostacolo alla diffusione della "ri-manifattura" era l’afflusso di prodotti a bassissimo costo dai paesi emergenti. Soprattutto per certe fasce di apparecchi già a buon mercato – dall’asciuga-capelli al tostapane – il costo del nuovo era sceso talmente in basso da togliere ogni incentivo economico all’usato.

Ora però qualcosa cambia. L’inflazione che colpisce tante materie prime, dal rame all’acciaio, crea un nuovo interesse economico a investire in sistemi che riducono il consumo dei materiali di base. Inoltre entrano in vigore leggi sempre più severe che impongono all’industria di farsi carico della raccolta e trattamento della "spazzatura informatica": un modo per ridurne il costo è rilavorare i prodotti usati anziché condannarli alla discarica. Una sola azienda del Michigan, la ReCellular, l’anno scorso ha venduto cinque milioni di telefonini "rifatti", un incremento del 25% rispetto alle vendite del 2009. Le batterie dei cellulari sono, tra i componenti elettronici, uno dei più nocivi se abbandonati nelle discariche. L’ultimo ostacolo da abbattere, spiegano i big del riuso, sta tutto dentro la testa dei consumatori. Bisogna convincerli a non pretendere di cambiare telefonino ogni due anni, a non ostinarsi a sfoggiare con gli amici l’ultimissimo modello. Questione di status, di mode, e di valori. In fondo, quanti di noi sanno l’età di un aereo al momento in cui s’imbarcano per il volo? Grazie al restyling della cabina, spesso ignoriamo di viaggiare su dei jet che hanno parecchi decenni di servizio sulle spalle, e ci portano a destinazione lo stesso.

Fonte: Repubblica.it

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