Josè Saramago nella “Zattera di pietra” immagina che la penisola iberica si stacchi dal Continente e vaghi per l’oceano Atlantico come un’isola ribollente di contrasti e di passioni. Forse non ce ne siamo accorti ma il cataclisma raccontato dal premio Nobel portoghese sta accadendo alla nostra Italia che si è staccata da quasi due decenni dall’Europa e naviga come una nave piena di pazzi nel Mediterraneo. Il prodigio è stato compiuto da un uomo anziano e vigoroso che, a capo di una ciurma nordista, ha segato i confini che ci tenevano legati a un mondo che ci guarda al di là delle Alpi stupefatto e persino divertito.

Solo a lui poteva infatti venire in mente, essendo premier, di intentare una causa allo Stato che dovrebbe tutelare per combattere i magistrati che Berlusconi dente rottoindagano sui festini di Arcore. Fra le cose che ha raccontato al suo equipaggio festante, e agli ignari e incolpevoli viaggiatori, questa storia di una lite giudiziale con lo Stato supera ogni fantasia. Non sappiamo dove si dirigerà l’isola italiana lasciata in balia di queste onde furiose, sicuramente l’approdo sarà lontano e rovinoso. Qualcuno dovrebbe difendere questo povero paese sommerso dal discredito.

Berlusconi è anche il premier più maldicente che l’Occidente abbia mai ospitato nei suoi consessi internazionali. L’Italia che dovrebbe rappresentare ha, nei suoi racconti davanti ai potenti della terra, le sembianze di una singolare Guantanamo che perseguita ricchi buontemponi e allegre fanciulline in spregio del diritto e della legalità. La geografia berlusconiana descrive un’isola infelice che, per l’appunto, va separata dal resto del mondo perché affollata da furfanti in toga rossa che cercano di assaltarla dall’interno malgrado la strenua resistenza di un urlante capitan Uncino, pirata fra i pirati.

E’ un paradossale disconoscimento del valore della prossima celebrazione dei centocinquant’anni di storia nazionale questa predicazione antistatale del capo del governo. Ci vorrebbero i sentimenti pessimisti del cav. Cao, segretario del ministro Francesco D’Atri, che, racconta Pirandello nei “Vecchi e i giovani”, “si sentiva propriamente sanguinare il cuore” mentre, durante lo scandalo della Banca romana “diluviava fango e pareva che tutte le cloache della città si fossero scaricate e che la nuova vita nazionale della ruby4terza Roma dovesse affogare in quella torbida fetida alluvione di melma, su cui svolazzavano stridendo, neri uccellacci, il sospetto e la calunnia”, per raccontare la triste conclusione di una grande utopia risorgimentale.

Noi, invece, vorremmo vivere abbastanza per vedere la scena del tribunale in cui il ricorrente Berlusconi arringa l’aula contraddetto dall’avvocato dello stato nominato dallo stesso Berlusconi. Non ci potrebbe essere sequenza più illuminante di questa per narrare l’enorme conflitto di interesse che consente nel cuore dell’Occidente all’uomo più ricco e potente di farsi gioco di uno Stato a cui noialtri, comuni cittadini, siamo tenuti a mostrar rispetto e ossequio.

Quella che appare ai suoi entusiasti seguaci l’anarchismo fecondo del secondo uomo della Provvidenza che ci tocca di sopportare, è in realtà la migliore rappresentazione di una parabola sovversiva di un ceto di facinorosi della classe media che da quasi vent’anni cerca di conquistare il potere e se ne sente estraneo perché non riesce a trasformarlo in durevole comando. C’è un mondo affollato che tuttora applaude questa leadership che lotta quotidianamente contro gli intralci della democrazia rappresentati nelle vesti ora di una magistratura aggressiva, ora di un parlamento riottoso, persino di un Quirinale e un’Alta corte disposte a inimicizia. Solo che quel che in altri tempi e in altri luoghi portò a rivoluzioni qui si trasforma in vaudeville con ricchi premi e cotillon, avvocati affannati e Peppino Caldarolaaffaccendati, uomini di governo che hanno perso il sorriso, fanciulle vistose e sgarbate.

Non era questa l’Italia che volevamo. Persino l’allarme che prende la gola di fronte a parole sfrontate e indecorose rischia di smorzarsi sopraffatto dalla voglia di ridere per la straordinaria assurdità di una situazione che non ha precedenti. La nostra “zattera di pietra” sta andando a sfracellarsi da qualche parte e a differenza di quella di Saramago le sue popolazioni non scoprono un nuovo modo di stare assieme ma si ritrovano più nemiche che all’inizio del viaggio. Abbiamo tutti qualche colpa per non aver impedito che la zattera si staccasse dal Continente. Ora bisogna porre riparo. Ci vorrebbe qualcuno che, come fece Barack Obama nel discorso di Selma del 4 marzo del 2007, abbia l’autorità e il coraggio per dire: «Toglietevi le pantofole. Infilate le scarpe da corteo. Fate politica. Cambiate questo paese».

(Peppino Caldarola, “Questa Italia è la nave dei folli”, da “Il Riformista” del 10 febbraio 2011, www.ilriformista.it).

Fonte: Libre

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