«Il vero spirito alpino è da questa parte della barricata. Mio padre e mio nonno erano alpini, se fossero ancora vivi sarebbero qui con me, a portare con orgoglio il cappello con la penna nera. Gli alpini difendono la montagna, non la feriscono». Nelle parole di Valter, No Tav di Condove, c’è la vera anima della valle che non si arrende: arrabbiata, diffidente, solidale. L’appello del presidente dell’associazione nazionale a non mischiare le tradizioni del corpo con la protesta contro l’alta velocità è stato accolto come una sfida. E così in tanti hanno tirato fuori il cappello e lo hanno indossato con orgoglio accanto al vessillo «No Tav». Penne ribelli. Più di duecento sono saliti lungo il sentiero che porta al cantiere della Maddalena. Lì hanno cantato l’Inno di Mameli e i cori alpini, come: “Sul cappello che noi portiamo”. Qualcuno, lassù, ha pianto.

«Per un momento ho pensato che aprissero gli idranti ma poi si sono fermati – dice Silvio, di Condove -. Comunque, se al posto dell’acqua ci avessero sparato del vino, eravamo tutti forniti di bicchieri». Gli alpini “No Tav”, prima di salire alla Maddalena, si sono radunati ai piedi del cancello della centrale elettrica di Chiomonte. Alberto Veggio, ufficiale alpino in congedo, non iscritto all’Ana, ha spiegato le ragioni di questo raduno. «Gli alpini che sono dall’altro lato della barricata – spiega – non interpretano lo spirito più autentico della montagna e del corpo. E ci dispiace che il presidente dell’Ana condanni la nostra protesta. Il cappello non appartiene all’associazione: tutti noi abbiamo il diritto di portarlo quando e dove vogliamo. Ce lo siamo conquistato col sudore».

Alberto Bonaudo, iscritto all’Ana di Condove, non ha paura di esporsi. E dice: «Se rivogliono indietro la mia tessera, allora eccola. Non mi vergogno di essere qui. Come me, la pensano in tanti qui, in valle di Susa». Di fronte al cancello della centrale elettrica, gli alpini “No Tav” hanno letto una lettera ai militari del presidio. «Abbiamo sfilato fianco a fianco con voi all’adunata del 150° anniversario dell’Unità d’Italia e non ci piace vedervi lì. Ci sconforta vedere divise sempre onorate difendere simili interessi». Per molti, qui in valle, è doloroso sapere che ci sono delle penne nere a sorvegliare il cantiere. A «militarizzare » le montagne, con i vigneti di Avanà «deturpati e umiliati», dicono.

Chiomonte è l’ombelico della protesta, oggi. Il vento è il respiro della valle. «Ecco, lo sentite? Quando inizieranno a bucare la montagna porterà con sé il suo veleno di amianto fin giù a Torino», dice Emi, stringendo accanto a sé un alpino. «A Chiomonte – afferma – non siamo né facinorosi né fannulloni. Siamo soltanto brave persone che lottano contro un’opera inutile». Il vento, per ora, si è già portato via la serenità della valle.

(Massimiliano Peggio, “Tra le penne ribelli: «Lo spirito alpino sta da questa parte»”, da “La Stampa” del 25 luglio 2011).

Fonte: Libre

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