C’era una volta un padre che sapeva riparare una presa elettrica pericolosa; una madre che faceva il pane in casa e lo conservava per tutta la settimana, uno zio che sapeva coltivare un piccolo orto. C’era, appunto. Perché oggi, una parte di quel sapere “popolare”, l’abbiamo dimenticato, accantonato, messo sotto lo zerbino. Lo consideriamo superfluo, superato, poco tecnologico. L’abbiamo dato in comodato d’uso a qualcun altro che della nostra dipendenza fa uno strumento di potere: in materia di prezzo, di scelta, di quantità, di modalità di produzione.

L’Università del Saper Fare nasce a Torino nel 2008 nell’ambito del Movimento della Decrescita Felice che nel circolo sabaudo aveva creato una delle sue prime roccaforti. “Volevamo rimettere in circolazione tutti quei saperi in via di estinzione” dice Paola Cappellazzo, ideatrice del progetto. L’idea originaria prevedeva che a tenere i corsi fossero anziani, le figure che della comunità ne conservano la memoria storica. Non sempre però era facile trovare le persone giuste per il corso giusto. “Ci siamo affidati allora a chi sapevamo che per formazione poteva avere certe cognizioni ed essere capace di trasmetterle” continua Paola.

Giuseppe Leoni per esempio partecipò  al primo workshop sul tema “Piccoli interventi elettrici in Italia”: era un simpatizzante con buone capacità manuali e qualche nozione da scuola Radio Elettra. Tanto bastava per insegnare a coloro che al primo filo scoperto chiamano l’elettricista come fare a riparare la presa.

Era la primavera del 2009. A Torino oggi si fanno circa 40 corsi l’anno: si impara a fare il pane, i formaggi, gli yogurt, i regali di natale e le creme idratanti, a montare i pannelli solari e a coltivare pomodori e melanzane sul balcone.

Genova, Roma, Reggio Emilia, Como hanno seguito l’esempio e fanno altrettanto. Nella città emiliana ci si specializza in pasticceria naturale; in quella romana si fanno i dentifrici, si cuce e si rammenda sotto la guida di sarte e si impara a fare la maglia; a Genova si insegna a costruire un forno in terra cruda. E molto altro.

Chi partecipa? “Ci affidiamo a una mailing list di circa 1000 persone e non abbiamo mai avuto problemi a riempire i corsi. Al contrario, a volte, siamo costretti a limitare i posti per colpa degli spazi o di attrezzatura” racconta Fabio Campia, del Circolo di Torino. Nel 2011 ha promosso un questionario on line per sapere quali fossero i corsi più “gettonati”: pane , formaggio, detersivi e orto sono stati i temi più richiesti. Dalla rivalorizzazione dei bisogni primari si inizia a costruire un nuovo stile di vita.

Affidarsi ai ricettari o alle guide in libreria porterebbe probabilmente a risultati simili. D’altro canto, restare in casa, cercando di mettere insieme i pezzi di una manualità dispersa e abituata solo a digitare su una tastiera, a volte è fin disincentivante. All’Università del Saper Fare ci si va anche per “vivere il sapere” insieme. Ci sono uomini e donne di tutte le età. Più raro il sessantenne che certe cose deve solo andare a trovarle, togliendo un po’ di polvere. Sicuramente più frequente è il giovane universitario con le tasche svuotate dalla spesa al supermercato. Oppure il recidivo che ritorna con la scusa del “mi serve un’altra lezione per farlo bene”.

A ben vedere, l’’Università del Saper Fare ha uno di quei nomi che aprono varchi culturali e pongono interrogativi tali che viene subito da chiedersi: ma ora serve un’università per imparare a fare? Se siamo giunti a circondarci di migliaia di oggetti che compiono azioni al posto nostro, succursali del nostro sapere e prolungamenti virtuali della nostra volontà, evidentemente si.

Ed è forse per questo che si moltiplicano i corsi di autoproduzione dentro e fuori le università, si diffondono consigli su come fare per, come riparare con, come costruire usando solo. Quel sapere era ed è parte della nostra identità.

Fonte: Greenme.it

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