“Quante sostanze e quanti materiali pericolosi potrebbe riversare in mare il relitto della Costa Concordia?”. Se lo chiede Greenpeace con il report “Toxic Costa” pubblicato oggi e che fa un accurato inventario delle insidie ambientali che il relitto potrebbe ancora contenere in prossimità delle coste dell’Isola del Giglio. Flatati, muschi artificiali, bisfenolo e alchifenoli sono solo alcuni esempi di composti materiali pericolosi contenuti in prodotti chimici o nell’arredamento della nave.

Passata la sbornia delle avventure di Capitan Schettino e delle persone che hanno perso la vita in questo folle naufragio, si inizia a fare il conto dei danni ambientali causati dall’affondo della Concordia. Al di là del carburante, l’Ifo380 ovvero un combustibile particolarmente pericoloso per la sua alta densità, a preoccupare sono anche prodotti come detergenti, vernici e insetticidi contenuti in abbondanza su una nave di quasi trecento metri di lunghezza e capace di trasportare oltre quattromila persone. “A parte essere in attesa di sapere quali e quanti detergenti erano a bordo di questa piccola città galleggiante, sono state veicolate informazioni in alcuni casi superficiali”, attacca Vittoria Polidori, responsabile della campagna Inquinamento di Greenpeace. Secondo l’associazione, infatti, “l’uso di termini generici come “pitture e smalti” o “insetticida” non permette di effettuare stime apprezzabili dei rischi per l’ambiente”.
Un esempio su tutti è costituito dall’ipoclorito di sodio trasportato sulla Concordia, nome chimico per indicare la comune “candeggina”. La nave, secondo la lista fornita alle autorità dall’armatore della Costa, ne trasportava addirittura una tonnellata. Nel rapporto Greenpeace si legge che “questa sostanza, reagendo con gli acidi organici presenti in mare, può produrre sostanze pericolose come i trialometani, ovvero dei composti tossici per fegato e reni, alcuni dei quali cancerogeni per l’uomo”.
E non è finita qui. Molte sostanze di cui sono costituiti alcuni prodotti igienici, infatti, sono composti organici a base di cloro, noti per la loro persistenza nell’ambiente e la capacità di accumularsi negli organismi viventi, e la loro esposizione nel lungo periodo può costituire un serio danno alla salute. Greenpeace aggiunge inoltre che nell’elenco fornito dall’armatore non c’è alcuna traccia di tutta una serie di “articoli di arredamento” come tappeti, tendaggi, tavoli, elettrodomestici che contengono additivi chimici, molti dei quali pericolosi. “Se la nave si dovesse spezzare o rimanere a lungo adagiata sul fondale marino, sostanze come ftalati, alchilfenoli (tensioattivi non ionici), composti a base di bromo e paraffine clorurate potrebbero, nel corso degli anni, essere gradualmente rilasciate in mare e contaminare l’ambiente circostante”, si legge nel rapporto.
Una tragedia ancora più amara dal momento che, come sostiene la Polidori, “poteva essere evitata se in dieci anni di accordo internazionale sul Santuario dei Cetacei fossero state adottate regole specifiche per limitare il traffico marittimo in aree vulnerabili”. Si tratta di un’area marina protetta compresa tra le acque francesi, monegasche e italiane, classificata come “Area specialmente protetta d’interesse Mediterraneo”.

Alla luce del disastro della Concordia, Greenpeace ha lanciato una petizione online, oggi firmata da 28mila persone, per chiedere al ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Corrado Passera, di emanare al più presto di concerto col ministero dell’Ambiente un decreto che regoli il traffico marittimo nelle zone a rischio ambientale, proprio come il Santuario dei Cetacei, vietando gli avvicinamenti pericolosi alle coste.

 

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