“Se spostarsi diventa un lusso” titola la Stampa. “Cibo, bevande, tabacco, spendiamo come nel 1981”, gli fa eco il Corriere della Sera. Ovunque il calo dei consumi degli italiani viene dipinto con le tinte fosche di un evento drammatico. Ma l’argomento merita almeno qualche considerazione più approfondita.

A colpire l’immaginario dei lettori è spesso il concetto di recessione. La crisi ci sta trascinando all’indietro di 30 anni, affermano i giornali. Ma l’idea di recessione è legata ad una visione lineare della storia, che a sua volta è una “invenzione” relativamente recente. Nelle culture popolari, tradizionali, rurali, la storia è piuttosto ciclica, scandita dall’eterno ritorno dei giorni, delle stagioni, delle ere geologiche.

Il concetto di progresso ha rotto la ciclicità della storia. Un concetto che, pur partorito oramai duemila anni fa dall’etica cristiana e dall’idea di salvezza, ha trovato il suo successo solo in tempi recenti, quando lo sviluppo della tecnica ha permesso all’uomo di affrancarsi dalle leggi naturali. Dunque il fatto di tornare indietro non dovrebbe di per sé spaventarci, ed è più “naturale” di quanto immaginiamo.

Certo, si obbietterà, questo “regresso” non è frutto di una maturazione culturale delle persone ma di una crisi che sta riducendo alla povertà una fetta sempre maggiore della popolazione. È vero, e aggiungo che tale crisi non distrugge le ricchezze ma le redistribuisce verso l’alto. Distrugge la classe media, aumenta la concentrazione, arricchisce infinitamente le grandi banche e le corporazioni. E probabilmente – data la natura ciclica del capitalismo – prepara il campo per una nuova crescita. Crea aree immense di mano d’opera a buon mercato; fa piazza pulita per poter ripartire da zero.

Ma è altrettanto vero che è nei momenti difficili che si prendono le decisioni più drastiche, che si affrontano quei cambiamenti necessari che gli agi e il benessere ci portavano a rimandare ad un domani indefinito.

Analizziamo meglio i dati cui si accennava all’inizio. I consumi di carburanti hanno avuto, nel febbraio 2012, un crollo del 20 per cento rispetto allo stesso mese del 2011. Pur facendo la tara delle nevicate che hanno bloccato a lungo strade e autostrade, degli scioperi dei trasportatori che incidono di diversi punti sui consumi di benzina, il dato resta comunque impressionante.

Ma è un male? A parte il sicuro beneficio per l’ambiente, ci sono altri dati che fanno supporre che al calo dei consumi dei carburanti non abbia corrisposto un peggioramento degli stili di vita degli italiani. Ad esempio sta riscontrando un successo crescente il carpooling. Sempre più persone scelgono di condividere la propria auto con altri passeggeri, al tempo stesso risparmiando, inquinando meno, e rendendo più piacevole il viaggio.

Negli ultimi due anni gli utenti italiani sono aumentati del 200 per cento, i siti che offrono il servizio si sono moltiplicati (da carpooling.it a roadsharing.it a postinauto.it). Si calcola – dati del sito postoinauto.it – che con le auto condivise il costo medio per la benzina sia di 5 euro per 100 chilometri, e si risparmi fino al 67 per cento sulla benzina e il 50 per cento sul completo costo della trasferta.

E che dire del crollo della spesa degli italiani, ripiombati secondo il Corriere al 1981? Anche qui il calo dei consumi alimentari avviene in un contesto di partenza caratterizzato dall’eccesso. Se dalla dieta degli italiani spariscono alcuni cibi sovraconsumati – si pensi al consumo di carne – non può certo essere considerato un dramma.

Non sarà che l’improvvisa necessità ha fatto aprire d’un tratto gli occhi agli italiani? Possibile che ad un assottigliarsi dei portafogli stia corrispondendo un arricchimento delle coscienze? A dare adito ad interrogativi di questo genere arriva anche una ricerca del Censis sui “Valori degli italiani” che testimonia il netto calo dell’individualismo ed un ritorno alla ricerca di collettività, di nuove forme di aggregazione sociale.

Gli italiani abbandonano un modello basato sulla competizione e cercano di elaborare un senso collettivo. E, udite udite, bocciano il consumismo. Il 57 per cento pensa che “al di là dei concreti problemi di reddito, nella propria famiglia il desiderio di consumare è meno intenso rispetto a qualche anno fa”.

Sembra che la crisi stia innescando un meccanismo di reazione – involontario e non calcolato – a quel modello sociale neoliberista che proprio dalla crisi, come da ogni shock, immaginava di trarre il massimo beneficio. Gli italiani – e come loro molti altri cittadini d’Europa e del mondo – sembrano risvegliarsi da quel torpore in cui anni di benessere a buon mercato li aveva fatti precipitare. Che la crisi, una volta tanto, possa rivoltarsi contro il sistema che l’ha generata?

Fonte: Il Cambiamento

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