Un articolo dell’Huffington Post riporta una lunga intervista a Peter Brabeck, presidente della Nestlé. Si parla di acqua, visto che il top-manager è alla guida del Water Resources Group, un’organizzazione legata alla Banca Mondiale. Per Brabeck l’acqua sul pianeta sta per finire e la sua gestione va affidata ai mercati. Ma il suo ragionamento ‘fa acqua’ da tutte le parti.

Pochi giorni fa l’Huffington Post, noto blog americano e uno dei siti più seguiti al mondo, pubblicava un lungo articolo su Peter Brabeck e la sua crociata mondiale a favore dell’acqua. Peter Brabeck, per chi non lo sapesse, è il presidente – ed ex CEO – della Nestlé, la più grande multinazionale al mondo di cibi e bevande, che conta fra i propri prodotti ben 26 marche diverse di acqua in bottiglia (Panna, Vera, Levissima, San Bernardo le “italiane”).

A partire dal 2008 Brabeck si è messo alla guida di quel drappello di filantropi che compone il Water Resources Group, un’organizzazione che ha l’obiettivo dichiarato di risolvere le questioni legate all’acqua in giro per il mondo. Il WRG èfinanziato dalla Banca Mondiale tramite una sua agenzia, l’International finance corporation, che ha già versato 1,5 miliardi – già, miliardi – di dollari nelle casse dell’organizzazione. Parallelamente l’Ifc finanzia anche il progetto sull’acqua portato avanti da alcune multinazionali fra cui Nestlé, Coca-Cola e Veolia.

Se quasi sempre, quando si parla di azioni umanitarie intraprese da grandi corporazioni, lo scetticismo è d’obbligo, in questo caso è tanto ovvio il fine ultimo dell’intera operazione che il termine “scetticismo” pare persino inadeguato. È fin troppo evidente che dalla figura guida di una delle multinazionali più discusse e criticate del mondo non ci si possa aspettare una lotta per il diritto universale all’acqua, ma piuttosto una battaglia per la sua proprietà. Né è cosa nuova l’occhio di riguardo che la Nestlé ha da sempre riservato all’oro blu, e alla sua privatizzazione in giro per il mondo.

Già nel maggio scorso lo stesso Brabeck aveva proposto alla regione canadese dell’Alberta di creare una “borsa dell’acqua” per far sì che fosse il mercato a risolvere l’annosa questione di concorrenza fra gli agricoltori locali e le compagnie petrolifere per l’accesso alla risorsa.

Dunque non è poi tutta questa gran notizia un’ennesima intervista che riporta ennesime dichiarazioni sull’acqua di cotanto personaggio. Ma le sue idee sono talmente radicali, ed egli le esprime con tanta impune naturalezza, che valgono certo un approfondimento. E poi vi sono varie implicazioni pratiche alle sue dichiarazioni, che egli cerca di nascondere, dandole per scontate con abili artifici retorici. Cercheremo di analizzarle.

Partiamo da come Brabeck descrive le diverse opinioni legate alla gestione dell’acqua. (Il pezzo è tratto da un’intervista a Brabeck disponibile su Youtube, ma sintetizza bene la sua visione generale che emerge anche dall’articolo in questione).

“Vi sono essenzialmente due punti di vista sull’acqua: uno è quello delle Ong, che io definirei estremo, e che vuole che l’accesso all’acqua venga nazionalizzato; in altre parole tutti gli esseri umani dovrebbero avere accesso all’acqua: una soluzione estrema, appunto. L’altra visione invece vuole che l’acqua sia una derrata alimentare e in quanto tale abbia un valore di mercato. È preferibile, secondo me, assegnare un valore a una derrata; tutti saremo più coscienti del fatto che ha un costo. Poi prenderemo le misure adeguate per le frange di popolazione che non possono accedervi”.

L’Italia dovrà essere apparsa al top-manager come un covo di pericolosi estremisti visto che ben 27 milioni di persone hanno scelto la prima opzione. Quella estrema. Ma continuiamo. Cosa penserà Peter dell’acqua in bottiglia? Eccovi serviti: “Non ho mai capito perché se metto dello zucchero nell’acqua sono un brav’uomo, se vendo acqua pura sono un uomo cattivo”. Il riferimento va alle bevande zuccherate che, a detta di Brabeck non ricevono le stesse critiche dell’acqua in bottiglia. Peraltro la Nestlé produce 16 differenti tipi di bevande zuccherate.

Ad ogni modo si è detto “orgoglioso e felice” per ogni bottiglia di qualsiasi altra bevanda che cede il posto ad una bottiglia d’acqua, soprattutto per i bambini. È un modo per sconfiggere il problema dell’obesità.

Insomma, una delle organizzazioni più influenti al mondo nel settore dell’acqua è guidata da un uomo per cui 1) l’acqua, elemento vitale per eccellenza, è una merce equiparabile ad un orologio o un paio di scarpe, e che 2) cerca di incoraggiare il consumo di acqua in bottiglia come rimedio miracoloso contro l’obesità. “Annamo bene, proprio bene”, direbbe Sora Lella, pace all’anima sua.

“Nestlé, la più grande multinazionale al mondo di cibi e bevande, conta fra i propri prodotti ben 26 marche diverse di acqua in bottiglia (Panna, Vera, Levissima, San Bernardo le “italiane”)”

Ma scavando sotto alle dichiarazioni di Brabeck, oltre quella sua naturalezza condita a sprazzi da una malcelata arroganza, emergono i due nodi principali del suo discorso. Due fulcri che egli è abile a far trapelare appena, un po’ di sbieco, talvolta fornendoli come dati di fatto, talvolta come conseguenze inevitabili della situazione attuale. Mai presentandoli come opinioni.

Il primo. La scarsità dell’elemento. Brabeck insiste molto sul fatto che l’acqua è un elemento che si va esaurendo rapidamente. Ci mette in guardia sul fatto che “un terzo della popolazione mondiale dovrà fare i conti con l’assenza d’acqua nei prossimi 15-20 anni”. Afferma – in un’altra intervista a margine del World Water Forum – che “finiremo l’acqua molto prima di quando finiremo il petrolio”.

Il secondo. Il mercato come unica soluzione. Visto che l’acqua finirà presto, è urgente, per evitare guerre o totale anarchia nella sua gestione in tempi di scarsità (questo non viene detto ma è facilmente intuibile), che essa sia gestita in maniera consapevole e con regole certe. E quale sistema migliore del bilanciamento di domanda e offerta fornito dal mercato?

Brabeck infarcisce il proprio ragionamento di esempi e controesempi, in cui spesso – dev’essere un vizio – l’acqua vieneparagonata al petrolio. “Dal momento che il petrolio ha un prezzo, ha un valore, le persone sono spinte ad investire in alternative. Ma poiché non c’è incentivo economico nella più grande area di consumo di acqua – che è l’agricoltura – non si fanno gli investimenti”. Il fatto che all’acqua non sia generalmente associato alcun valore, quindi, sarebbe il maggior disincentivo ad un suo uso consapevole. “Così la situazione dell’acqua peggiora e peggiora. Se non diamo un valore all’acqua, tali investimenti non saranno fatti perché nessuno ha interesse a investire perché non si dispone di un ritorno economico. Se il valore di acqua è pari a zero, qualsiasi investimento non produrrà”.

Non mancano le sviolinate filantropiche. A “coloro che emotivamente sostengono che l’acqua non dovrebbe avere alcun prezzo perché è un diritto umano” risponde che “in quei paesi dove non ci sono sufficienti investimenti effettuati in infrastrutture, quelli che pagano di più per l’acqua sono i più poveri. […] Una persona ricca di New York paga circa il dieci-quindici per cento del prezzo per un metro cubo di acqua rispetto ai più poveri in Bangladesh o da qualche parte in India. E questa è un’ingiustizia. Non credo che sia un diritto umano riempire la mia piscina, lavare la mia auto, innaffiare il campo da golf, o anche per irrigare il giardino. Non credo che questo sia un diritto umano.

Tirando le fila del discorso, Brabeck giunge a concludere che una gestione affidata al mercato garantirebbe tanto vantaggi economici quanto un utilizzo più giusto, equo e consapevole della risorsa. Peccato che i due teoremi (quelli che abbiamo evidenziato sopra), su cui regge tutto il ragionamento e dei quali le altre osservazioni sono dei corollari, siano sbagliati.

Il teorema che vuole che l’acqua sia una risorsa in rapido esaurimento, per quanto non privo di basi scientifiche legate al surriscaldamento globale, ricalca lo schema della scarsità tipico di ogni tentativo di conquista di una risorsa da parte dell’economia. La definizione stessa di economia, infatti, nelle parole dell’economista francese Raymond Barre, vuole che essa sia “la scienza della gestione delle risorse scarse”. Se una risorsa non è scarsa, se ve n’è a sufficienza per tutti, allora non ha senso che sia gestita con meccanismi economici. Chi comprerebbe l’aria? Nessuno, almeno finché vi sarà sufficiente aria pulita per tutti.

Dunque il primo teorema di Brabeck, il teorema della scarsità, è solo in parte una verità scientifica. È, soprattutto, una premessa indispensabile per giungere alle conclusioni a cui egli vuole arrivare. D’altronde ci sono moltissimi studi che testimoniano che, se usata in maniera corretta, l’acqua a nostra disposizione sarebbe sufficiente a soddisfare i bisogni di tutti gli esseri umani per molto tempo ancora.

Ma veniamo al secondo teorema. Pur senza arrivare a sostenere che non vi è acqua a sufficienza per tutti, è innegabile che ci sia bisogno di una gestione più corretta della risorsa. È veramente il mercato lo strumento adatto? Nella retorica del manager questo sarebbe l’unico modo per garantire una distribuzione più giusta, a prezzi più equi.

Ma è sempre più evidente che il mercato, lungi dall’applicare quella forza livellatrice predetta dai suoi fautori, aumenta piuttosto le differenze sociali ed economiche, inasprisce le situazioni più dure e sorride a quelle già fiorenti. Ogni sistema chiuso aperto di colpo ai mercati ha visto la stessa impietosa scena: un moltiplicarsi di opportunità per chi già ne aveva, una riduzione di speranze per chi ne aveva poche.

Insomma sono tante e tali le differenze generate dall’economia di mercato che, se un domani l’acqua venisse realmente a mancare – e dunque il suo prezzo regolato dal mercato salisse alle stelle – non sarebbero certo i più ricchi a dover rinunciare al bagno in piscina, o a lavare intere batterie di macchine svariate volte al giorno. Sarebbe piuttosto la fascia dei poveri e poverissimi a non vedersi garantito neppure il minimo indispensabile per vivere dignitosamente.

Chissà cosa direbbe allora Brabeck. Forse piangerebbe lacrime amare di pentimento, e si dispererebbe assai a bordo della propria piscina, mentre si scola un’intera bottiglia della sua acqua preferita; giusto per tenersi in forma.

 

Articolo di Andrea Degl’Innocenti – 17 Luglio 2012 tratto da Il Cambiamento

Foto:World Water Forum

 

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