Ho partecipato da poco ad un ennesimo incontro pubblico sul tema della “decrescita”. E’ ormai un dibattito ampio e aperto anche nel mondo dell’economia sociale e alternativa. E’ indubbio che il termine sia provocatorio, fa discutere, viene coniugato con vari attributi, ad esempio “felice” o “forzata”, viene interpretato in vari modi anche dentro medesimi gruppi di opinione e comunque fa paura ai paladini della crescita che ovviamente cercano di ridicolizzarla. Provo qui a proporre alcuni miei elementi di riflessione per tentare di fare un po’ di chiarezza sia in me stesso sia in chi legge.

Decrescita non può essere direttamente rapportata con una diminuzione del PIL. Innanzi tutto perché il PIL è ormai riconosciuto come un indice inutile e falso, che non misura il vero stato delle nazioni e del mondo, ma è semplicemente usato specularmente dal modello economico dominante per imporre le sue logiche. Poi anche perché tale parola non è un’indicazione meramente quantitativa ma fonda il suo senso e valori su aspetti prettamente qualitativi.

Decrescita non significa diminuzione di benessere, anzi, semmai il contrario. Significa infatti condurre una vita più sana e sobria, essere consapevoli che siamo in un mondo che non ha risorse infinite e che dunque bisogna rispettarlo e consumarlo di meno. Ciò significa, ad esempio, riciclare o usare per più tempo le cose, prodursi quanto più possibile da sé, consumare meno energia e produrla con energie totalmente rinnovabili come il sole, viaggiare di più coi mezzi pubblici che con i propri mezzi privati, scambiarsi beni e servizi, ecc. Tutto ciò provoca anche risparmio economico, meno spese e più benessere generalizzato oltre che permettere al nostro ambiente di avere il tempo di rigenerarsi per quello che non possiamo fare a meno di sottrargli.

Decrescita si contrappone a crescita, come non violenza a violenza o ancora localizzazione a delocalizzazione, e così via! E’ quindi una giusta provocazione contro un modello che considera la crescita “a tutti i costi” come l’unica soluzione possibile per lo sviluppo, ma che, con sempre maggiore evidenza, si dimostra insostenibile e destinata al fallimento. E’ una critica pesante al modello economico fondato sui consumi, nel quale siamo immersi. E’ una contrapposizione netta al predominio del mercato sull’essere umano, anche lui ormai diventato merce e dunque uno stimolo ai cittadini a riprendersi nelle mani la propria vita, a riflettere sulle proprie scelte quotidiane e valutarne l’impatto e le conseguenze.

Uno degli elementi che viene più spesso evidenziato nell’attuale crisi è proprio il crollo dei consumi, una catena di cui inconsapevolmente siamo vittime: se non compriamo crolla l’economia, chiudono i negozi e le fabbriche, aumenta la disoccupazione e la povertà. Ma il nostro governo ci succhia tutto il denaro (con la scusa di sanare un debito pubblico insanabile e che nonostante gli sforzi continua ad aumentare per gli interessi!), e abbiamo meno soldi da spendere e dunque a catena crolla tutto il resto. Un sistema perverso nel quale noi siamo pedine di un gioco più grosso e giocato fuori di noi. Che fare allora? Dobbiamo per forza stare al gioco e riprendere a crescere, cercare di avere più soldi per riprendere a spendere e crescere indiscriminatamente senza senso nè rispetto di persone e ambiente perché non ne possiamo più fare a meno? Perché siamo dentro uno schema che ci obbliga a certe scelte?

Rifiuto da sempre di pensare che non ci sono alternative, e per questo accetto pienamente la provocazione della decrescita anche perché richiama immediatamente una domanda conseguente: quale modello di crescita è più adatto al pianeta e all’essere umano? Già migliaia di persone vivono più sobriamente e possono insegnare come fare. Ciò mette in discussione il modello di crescita infinita e di consumo attuale, in un mondo finito, per cui è evidente che bisognerà prepararsi a un momento di transizione, che in tutti i cambiamenti è la fase più delicata. Bisognerà poco a poco trasformare le produzioni, insegnare nuovi modelli e percorsi, formare a nuove professioni ed avere risorse compensative da destinare alle persone in difficoltà in attesa che siano formate e preparate a nuovi lavori, un welfare evoluto e indirizzato alla transizione.

E’ tutto possibile ma a una condizione, che vi sia una classe politica all’altezza, ovvero consapevole del cambiamento epocale che stiamo vivendo. Ma questo è un cruciale punto dolente! Osserviamo infatti un’ignoranza e un distacco da tutte queste problematiche che, questo sì, fa veramente paura, almeno ai cittadini più consapevoli. I politici purtroppo per la gran parte sono asserviti totalmente alle logica del mercato e della crescita infinita, che poi si traduce con il porre ascolto solamente ai diktat del capitale finanziario, vero spauracchio del mondo e, questo sì, in grado davvero di crescere infinitamente, senza limiti! Un’assurdità umana! Hanno dunque perso autonomia di gestione, capacità di leggere i fenomeni per il bene dei cittadini e con poco coraggio di cambiare nonostante il mondo sia in palese difficoltà strutturale globale! E’ dunque anche una decrescita finanziaria che ci serve, ovvero un ridimensionamento totale del potere della finanza sul mondo: chissà quando la politica saprà riprendere pienamente il suo vero ruolo!

di Giovanni Acquati

Fonte: Tiscali Social News

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