Meno e meglio. Less and better dicono gli anglosassoni. Formula magica che potrebbe aiutarci nella lotta al superfluo, al di più, al consumismo sfrenato e all’idea di crescita continua che ci ha portato sull’orlo del baratro, sociale, finanziario, ambientale. Perché diventi realmente uno stile di vita bisogna impegnarsi per farla conoscere. Ecco quindi la nascita del Movimento per la Decrescita Felice, fondato a livello nazionale da Maurizio Pallante e declinata a livello locale in molteplici sezioni provinciali.

Ecoideare ha intervistato Valerio Cicchiello, ex presidente del Circolo della Decrescita Felice di Bergamo.

Dottor Cicchiello, ci racconti come nasce il Circolo di Bergamo. Perché ha sentito la necessità di aprire un Circolo anche a Bergamo? Quali sono le ragioni culturali alla base del Movimento della Decrescita Felice?

Il percorso costitutivo del Circolo è stato graduale: a partire dall’autunno del 2009, quando abbiamo cominciato a riflettere sull’idea di aprire un Circolo, fino all’estate del 2010, quando ci siamo dati delle finalità specifiche, i Soci costituenti si sono trovati concordi sul fatto che la decrescita felice non sia solo un proposta di società, rivolta al futuro, ma sia anche un possibile stile di vita a disposizione di chi lo vuole praticare. In altri termini: il Circolo è semplicemente una struttura organizzativa leggera per fare rete, nel territorio e con il movimento a livello nazionale; ben si può vivere in modo decrescente senza dover indossare giacchette; diversi di noi, leggendo i libri di Maurizio Pallante, hanno scoperto che già, a loro modo, condividevano e sperimentavano valori e principi della decrescita felice. Nello specifico, del complesso di idee portanti su cui si fonda il movimento, abbiamo scelto, a Bergamo, quello dell’autoproduzione; delle possibili dimensioni auto produttive ci siamo concentrati sulla coltivazione (di un orto); lo abbiamo fatto con la piena consapevolezza che vi sia, in ciò, una valenza culturale, che cerchiamo di attuare nel presente, mentre, al tempo stesso, quel che facciamo è anche una proposta rivolta al futuro; ecco perché, alla coltivazione del campo associamo la coltivazione delle relazioni con chi si mostri incuriosito a chiedersi, veramente, perché parliamo di “decrescita”, e perché la caratterizziamo con l’aggettivo “felice”.

Ci descriva meglio le “ragioni culturali” alla base del movimento di cui fa parte.

Il movimento della Decrescita Felice considera il superamento dell’annichilimento ideologico, umano, ed ambientale, rappresentato dal culto della crescita, quale presupposto per affrontare, ed uscire, dalla presente crisi economica, energetica, ambientale. La società attuale è in crisi perché è cresciuta troppo e in modo sproporzionato, non perché è cresciuta troppo poco! Produciamo, e consumiamo, merci inutili o dannose; ci priviamo, per produrre queste merci, di beni utili, non reperibili sul mercato, che hanno a che fare con lo stato di benessere. La crescita non garantisce nemmeno più occupazione (basta consultare le statistiche Istat del tasso di crescita del PIL degli ultimi trent’anni e confrontarlo con il tasso, stazionario, se non addirittura, recessivo, di occupazione). La Decrescita, da questo primo punto di vista, vuole essere e proporre, la diminuzione selettiva del PIL, accompagnata dall’incremento di quei Beni (inclusi quelli relazionali) che il mercato non è strutturalmente in grado di fornire o fornisce con risultati qualitativi inferiori.

Spesso si confonde decrescita con recessione. Qual è la differenza?

La Decrescita non è affatto né la recessione, né la depressione economica, perché questi sono i sintomi patologici di una società della crescita che vorrebbe crescere e non ce la fa. La Decrescita non è nemmeno un atto di rinuncia, perché fare a meno di merci inutili o dannose non è affatto un sacrificio, ma l’acquisizione di un maggior grado di libertà, a partire dalla maggior disponibilità di tempo a disposizione, se si considera che per procurarci queste merci occorre lavorare di più e non poterci dedicare, ad esempio, agli affetti, risicati all’interno di un fine settimana ed in competizione con le incombenze. Possiamo, se vogliamo, smetterla di voler produrre, indiscriminatamente, merci e conseguentemente appiattirci, dal punto di vista spirituale, allo schema lavoro – guadagno – spendo – consumo, come se il genere umano non sapesse far altro che essere un ingranaggio produttivo o consumistico. Lo possiamo fare, già ora, cambiando il nostro modo di agire La società della crescita, quella in cui ci troviamo, ha confuso il concetto di crescita (più PIL) con quello di benessere (lo star bene). Così, per stare nell’ambito del nostro agire orobico: comprare verdure al supermercato (vendute dopo un viaggio di migliaia di km, trasportate in energivore celle frigorifere, coltivate a suon di pesticidi e pagate una miseria al produttore di turno, impacchettate per bene in imballaggi voluminosi quanto impattanti per l’ambiente) sarebbe, secondo l’ideologia della crescita, preferibile alla coltivazione a km 0, biologica, e improduttiva di rifiuti, che facciamo noi, perché con il nostro modo di agire non facciamo crescere il PIL!

Ci spieghi il concetto di “meno e meglio”.

La formula sintetica, “meno e meglio”, usata da Maurizio Pallante per dare il titolo al suo ultimo libro intende esprimere due concetti che stanno bene, senza necessariamente sovrapporsi, insieme. Tutte quelle volte che la sostituzione di merci (oggetto di transazione monetaria) con beni (frutto di autoproduzione) produce un miglior stato di benessere, è preferibile far diminuire, far decrescere, il PIL (da qui il valore positivo del meno!). Quando, invece, delle merci non si può fare a meno (perché non possiamo autoprodurci tutto e dobbiamo, ad oggi, far ricorso allo scambio denaro contro merci), allora dobbiamo, se vogliamo recuperare un rapporto armonico con il pianeta, assegnare priorità a quelle modalità produttive che siamo, ad un tempo, maggiormente rispettose dell’ambiente e meno dispersive a livello energetico.

Bergamo, vista dalla metropoli milanese, sembra un posto perfetto, molto vivibile. Ci racconta i punti di forza del territorio? Cosa va valorizzato? Cosa va preservato?

Sono d’accordo con lei, in via di massima: la dimensione raccolta dell’insediamento urbano, se comparata a quella metropolitana, unitamente alla prossimità, e continuità, con vaste aree verdi fanno di Bergamo una gradevole città attuale ed una possibile Città con capacità di futuro. Niente è scontato, del resto; le città, tutte le città, piccole o grandi che siano, della società che verrà, piaccia o meno, dopo quella dipendente dai combustibili fossili (c’è, per chi volesse informarsi, un Istituto di ricerca che, insieme ad altri, si occupa della transizione in questione: www.postcarbon.org) una volta che il trasporto delle merci, a partire da quelle alimentari, diverrà particolarmente costoso a lunga distanza saranno tanto più in grado di affrontare il cambiamento, tanto più avranno saputo preservare, valorizzare ed organizzare una produzione, soprattutto alimentare, di prossimità e svincolato dal circuito agro-industriale-chimico. Ecco perché, anche qui a Bergamo, diciamo che ogni metro quadro utile di terra, non ancora cementificato, debba essere un granaio per gli abitanti della Città e le Amministrazioni pubbliche, non importa il colore politico che indossino, che sciaguratamente consentano operazioni di consumo del territorio stiano, così facendo, ponendo un’ipoteca sul futuro della stessa Città. Anche per questa ragione coltiviamo, divertendoci, un Orto, insieme. Come Circolo, con questo spirito, abbiamo aderito alla campagna “Salviamo il Paesaggio”: la stessa bolla immobiliare, tuttora in corso, dovrebbe essere di monito a che non possiamo, ancora una volta, essere succubi dell’imperativo, ottuso, del dobbiamo continuare ad edificare. Notiamo, in questo, una similitudine: Milano e Bergamo sono depositarie del dovere civico di far sì che i Parchi agricoli che le lambiscono siano valorizzati per la loro vocazione naturale, a beneficio della collettività e delle generazioni future, e non stralciati, a spizzichi, per finalità miopi o settoriali.

Ci sono anche delle criticità. Quali sono le più importanti, secondo lei?

Una l’ho accennata più sopra, con la precisazione, propria del movimento della decrescita felice, secondo cui ogni scelta di politica di governo del territorio non va solo criticata, se infelice, ma accompagnata da proposte alternativi attuabili e di lungo respiro, con il coraggio di guardare in avanti. Ne accenno un’altra che, mi pare, parimenti accomuni Milano e Bergamo, e con la fiducia che entrambe le Città possano accorgersi di come soluzioni decrescenti siano possibili e utili: la mobilità. Non ha senso costruire, o mantenere, parcheggi nel cuore della città. E’ come invitare a venire in città con l’auto, a possedere auto perché ci sono posti dove custodirla. Non ha senso che i vari Enti pubblici diano pass di accesso per i propri dipendenti, quasi che sia uno status arrivare, fin dentro la pancia di un’università (per dire un Ente dei tanti), con il proprio mezzo di inquinamento. Siamo bipedi e ciclisti, prima ancora che automobilisti; per lo meno per gli spostamenti intracittadini dovremmo pretendere,ed iniziare a praticare, la mobilità dolce: diminuirebbe il PIL, della benzina che non si consumerebbe, diminuirebbero i grassi del nostro corpo, e si starebbe meglio! Mi correggo: non ha senso usare il condizionale, lo possiamo fare già ora!

I suoi concittadini sono interessati a queste tematiche? Com’è la risposta in termini di partecipazione?

La sensibilità e l’attenzione dei Cittadini in rapporto a modi di agire, in Città, sobri, salubri ed economici va aumentando, a cavallo tra la stretta di una crisi economica in corso, che spinge a ripensare i propri stili di vita, le proprie abitudini al consumo, e l’acquisizione di consapevolezza sul fatto che dal circuito della crescita -oramai più che praticata, invocata alla stregua di una danza della pioggia in un clima arido- occorre uscire ripensando, fino in fondo, il perché ed il come possiamo stare su questa terra. Da ultimo, mi lasci dire. Per fortuna non siamo soli! Il Circolo di Bergamo, e lo stesso Movimento per la Decrescita Felice non si sente affatto in competizione con le altre realtà sensibili al tema dell’assurdità della crescita infinita: ecco perché ci sentiamo un nodo della Rete, insieme a tutti coloro, persone ed associazioni, che condividono l’insegnamento di Don Milani, valido anche di questi tempi e per questi temi, secondo cui pensare di risolvere da soli i problemi è egoismo (mi permetto di aggiungere protervia), provare a farlo insieme è Politica.

di Gaia Gusso

Fonte: Ecoideare.it

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