L’energia necessaria a garantire l’attuale livello economico (ovvero la produzione di tutti i beni ed i servizi del pianeta) degli oltre sette miliardi umani che popolano la Terra proviene per l’87% dai tre combustibili fossili, cioè petrolio, carbone e gas naturale ed un ulteriore 5% circa proviene dall’energia nucleare (dipendente dall’uranio, un minerale non certo dei più comuni). Questo significa che oltre il 90% dell’intera energia necessaria a spostare le nostre auto, a produrre il nostro cibo, i nostri vestiti, insomma tutto ciò che utilizziamo per permetterci il nostro stile di vita proviene da fonti non rinnovabili, ovvero destinate ad esaurirsi (il dibattito è aperto sul quando e c’è chi dice trent’anni, chi cinquanta, i più ottimisti cento, ma tutti concordano sul fatto che questo paradigma energetico sia destinato al fallimento –almeno nel lungo termine). Si tratta quindi di un modello che ha già perso in partenza (si regge su una fonte energetica che non è durevole, cioè sostenibile nel lungo termine) e che sarà sicuramente ricordato come fallimentare, folle e irrazionale dalla storia.

Ma oltre ad essere destinato al fallimento – quando i combustibili fossili saranno esauriti sarà molto difficile se non impossibile garantire lo stesso livello di produzione energetica dell’era di petrolio, carbone e gas –, l’attuale sistema economico deve fare i conti con ulteriori problemi, la cui gravità non potrà che aumentare in futuro, proprio per alcune distorsioni e per alcuni effetti collaterali propri di questo sistema economico. E mi riferisco al riscaldamento del pianeta, all’esaurimento delle falde freatiche di alcune delle regioni più densamente abitate del pianeta, alla contaminazione dell’acqua, che sarà sempre meno potabile a causa dell’inquinamento organico e non, alla perdita della biodiversità (si tratta di un processo irreversibile), alla povertà dilagante (nonostante tutti i proclami della globalizzazione i poveri continuano ad aumentare), alla continua perdita di fertilità dei terreni agricoli a causa delle pratiche dell’agricoltura industriale, eccetera. Non si tratta di problemi specifici con cause specifiche, perché tutti i problemi sono interconnessi fra loro e ognuno di essi è causa e allo stesso tempo concausa di un altro problema.

Siamo tutti in un mare di guai, ma i guai saranno tanto maggiori tanto più aspetteremo a prendere decisioni in grado di affrontare sul serio questi problemi. Le istituzioni internazionali sembrano fregarsene di tutto questo se non cercando accordi meramente formali (il “nuovo” trattato di Kyoto riguarderà solamente il 15% delle emissioni di gas serra, con l’uscita di Canada, Australia, Nuova Zelanda e Russia dal precedente trattato che comunque non comprendeva i principali inquinatori, ovvero USA e Cina), i governi sono troppo impegnati ad accontentare le varie lobby economiche, o a cercare la chimera della crescita del PIL per ridurre i pesanti debiti che hanno contratto negli ultimi decenni per permettersi l’attuale stile di vita, mentre è pressoché impossibile che il cambiamento arrivi proprio da quel mondo economico dominato da enti (le Corporation) il cui unico fine è quello di aumentare i propri profitti.

Gli unici che possono fare qualcosa per invertire tutto questo ed evitare il peggio per sé, i propri figli e il proprio pianeta sono i singoli individui, i liberi pensatori, in poche parole gli uomini e le donne che hanno conservato ancora qualcosa di “umano”. L’unica vera forma di decrescita che ritengo possibile è quella a livello individuale o di piccoli gruppi di “illuminati”, perché la decrescita presuppone un certo livello di consapevolezza, che l’umanità sembra aver smarrito in questa folle corsa verso la propria distruzione.

di Manuel Castelletti

Fonte: Decrescita.com

4 thoughts on “L’unica vera forma di decrescita possibile è quella individuale”

  1. Concordo e mi permetto di aggiungere che è urgente e doveroso “aprere l’orecchio” – senza arroganza e presunzione – di chi è sordo ad un certo annuncio.
    Piccole comunità coerenti con quello che proclmano saranno coloro che indicheranno la strada.

  2. mi spiace, non riesco ad essere completamente d’accordo. Se permettete (e vi interessa) le ragioni sono le seguenti:
    – mi fanno paura gli “illuminati”. Sarà che sono poco religioso. Ma credo che la luce sia un bene collettivo e non individuale, se un piccolo gruppo “si illumina” rischia di ingannarsi (la dinamica è nota, anche al pensiero religioso, non mancano gli inviti a fare attenziione al diavolo che si presenta in forma di angelo).
    – più specificatamente, piccoli gruppi che si chiamano fuori e salvano la loro anima, non servono ai miliardi di persone che pesano sul pianeta.
    – Anche se è difficile spostare gli equilibri economici e politici (cioè sociali) che determinano i comportamenti collettivi non sostenibili chge descrive l’autore (sui quali concordo), bisogna farlo. E’ l’unica possibilità di essere utili. Al pianeta e non alla nostra anima.
    – dunque, come direbbe un vecchio marxista (che non sono io): “serve un programma di transizione”. MA un simile programma non può partire dall’assunto che la battaglia è persa e resta solo la salvezza individuale.
    – uno spunto è approfondire la parte dell’analisi nella quale si inferisce, in modo troppo frettoloso, che la finitezza delle risorse fossili (ovviamente un fatto, ma fa differenza se ne manca 100 o 100.000) ne deriva che “nel lungo periodo” (quello nel quale “saremo tutti morti”, come ci ricorda Keynes) sia fallimentare. Non è stato fallimentare usare pietre scheggiate nel neolitico solo perchè il bronzo è più efficace. Ciò che bisogna cercare sono pratiche più efficaci (e più sostenibili) per far cessare l’era del fossile mentre ce ne è ancora.

  3. non per polemizzare, amici. Ma una moderazione che cancella gli interventi non completamente favorevoli non fa un buon servizio al movimento.
    non credete?

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