Nella sua folle corsa verso una crescita infinita della produzione materiale l’umanità (o meglio chi ne tiene le redini) sembra aver smarrito proprio quel buon senso che ne ha sempre caratterizzato le azioni del passato (lo storico Carlo Maria Cipolla afferma in Storia Economica dell’Europa Pre-Industriale: “Il carbon fossile fu in uso già nel Medioevo, ma la gente del Medioevo era molto sospettosa di questo tipo di combustibile vagamente ma decisamente intuendo che l’uso di esso implicava conseguenze nocive per l’ambiente. Sotto molti aspetti, la gente del Medioevo, pur nella sua ignorante superstizione, fu molto più cosciente dei possibili danni dell’inquinamento che la gente dell’epoca della Rivoluzione Industriale”). Nel momento in cui i valori prettamente economici sono entrati nel DNA dell’homo oeconomicus – ovvero quell’uomo che trova la propria ragion d’essere nel consumismo, nell’egoismo (ma non in quella specie di vanità mista ad orgoglio che aveva denunciato la La Rochefoucauld nel XVII° secolo, ma nel mero interesse materiale) e nel lavoro (inteso come svendita delle proprie energie intellettuali e fisiche in cambio di quel denaro che permette di correre dietro alle sirene della pubblicità) – abbiamo assistito alla fine dell’uomo dotato di buon senso.

Peccato che proprio quel buon senso (o quella sorta di “coscienza” dell’uomo del Medioevo) è proprio quello che ci servirebbe ora, perché il razionalissimo e benpensante homo oeconomicus del XXI° secolo è quello che sta traghettando la propria civiltà verso il collasso. La storia ci dimostra che ogni volta che i valori di una società non sono conformi alla natura e quindi a quel fragilissimo equilibrio naturale che permette la vita sul nostro pianeta, abbiamo assistito al crollo di quella società (come dimostra bene lo scienziato americano Jared Diamond nel suo libro Collasso).

Ecco una rapida carrellata di ciò che sta succedendo e verso cui andiamo incontro:

1) Con la definitiva entrata in scena dei paesi emergenti (Cina in primis, ma anche India, Brasile, Indonesia, Sud Africa, Russia, eccetera) abbiamo assistito ad una crescente domanda di risorse naturali da parte di questi colossi economici.
2) La crescita demografica sembra essere inesorabile. Nel 2011 abbiamo raggiunto la cifra di 7 miliardi di abitanti, ma entro il 2025 avremo un miliardo di persone in più e nel 2050 avremo oltrepassato i 9 miliardi di persone che domanderanno uno stile di vita migliore (ovvero una crescita del PIL).
3) Nonostante i proclami della Banca Mondiale e dei fautori della globalizzazione, c’è stato un aumento della povertà sul nostro pianeta, con 19 milioni di persone che vivono con meno di 2 dollari al giorno in più nel 2005 rispetto al 1981 (gli ultimi dati messi a disposizione dalla Banca Mondiale). Ancora oggi, la povertà estrema tocca il 40% della popolazione mondiale.
4) Il consolidamento del processo di globalizzazione (dalla caduta dell’Impero Sovietico abbiamo assistito ad un’esplosione della circolazione mondiale di merci, capitali e persone – sia nella versione ricca, ovvero i turisti, che in quella dei miserabili, ovvero i migranti).
5) Il graduale rallentamento della crescita economica mondiale a partire dai due shock petroliferi degli anni Settanta e culminato nella recessione mondiale del 2009, sintomo dell’esaurimento dei benefici dovuti all’aumento di produttività delle tecnologie della Seconda Rivoluzione Industriale (elettricità, automobile e petrolio).
6) La finanziarizzazione dell’economia mondiale (negli ultimi dieci anni il totale dello stock finanziario è cresciuto più del doppio rispetto al totale dei beni e dei servizi prodotti sul nostro pianeta).
7) I diversi rapporti di forza tra i paesi più ricchi (che detengono la quasi totalità dello stock finanziario, sono tecnologicamente più avanzati e grazie alla maggior quantità di risorse idriche si possono permettere di avere un surplus agricolo nella bilancia commerciale) e quelli non ancora sviluppati (che detengono la maggior parte delle risorse energetiche e delle materie prime minerarie e possono vantare l’82% della popolazione mondiale e i maggiori tassi di crescita demografica).
8 ) La dipendenza dell’umanità dai combustibili fossili: carbone, petrolio e gas naturale nel 2011 hanno contribuito a creare l’87% dell’energia prodotta nel mondo.
9) La graduale sostituzione nelle dieta dei paesi in via di sviluppo dei cibi di origine vegetale con quelli di origine animale (che richiedono una maggior quantità di risorse naturali per essere prodotti).
10) Il surriscaldamento del pianeta (dovuto all’aumento dell’effetto serra), la sempre più allarmante distruzione della biodiversità del pianeta e quindi l’erosione del capitale naturale (che le moderne teorie economiche non considerano mai!).
11) L’urbanizzazione della popolazione mondiale (già ora più della metà della popolazione vive in città, ma entro qualche decennio avremo superato i 2/3 della popolazione mondiale), che significa che avremo bisogno di una maggior quantità di risorse naturali (energia, acqua, cibo, materie prime minerarie).

Senza un repentino cambio di rotta siamo destinati a fare la fine degli abitanti dell’Isola di Pasqua, che hanno pagato sulla propria pelle l’incompatibilità dei propri valori (questa volta non economici ma religiosi) con l’equilibrio della natura.

Manuel Castelletti

Fonte: Decrescita Felice Social Network

4 thoughts on “Verso il collasso”

  1. Capiamo cosa voglia dire, ma ugualmente una affermazione così andrebbe evitata, almeno nel nostro sito, proprio perchè noi ci battiamo per far capire che la qualità della vita (o vita “migliore”) non dipende dal PIL

    1. Ciò dimostra che anche chi si rende conto della situazione non riesce ad emanciparsi dalla schiavitù del PIL. Ci saremmo aspettati ben più commenti a riguardo. Quindi grazie, Roberto!

  2. Credo che quello che si va sempre più delineando sia uno scenario di sempre più profondi cambiamenti.
    Ora sappiamo molto bene che quando si tratta di profondi cambiamenti, l’uomo occidentale o occidentalizzato, tende a fare una enorme fatica nel recepirlo e nell’assimilarlo e farlo proprio.
    Si, la felicità, la vita non può dipendere dal PIl. Sembra una cosa così ovvia che l’abbiamo dimenticata nell’arco di due secoli e mezzo.
    Le persone, la maggior parte, fa fatica a capire che devono cambiare – e subito – gli STIlI DI VITA- che è bene iniziare ad educare diversamente i propri figli e ad informare correttamente le persone care sull’andazzo del pianeta. Questo non deve significare catastrofismo – perché nessuno può sapere o prevedere le catastrofi – ma solamente indicare una via migliore, desiderabile, buona e soprattutto percorsa e percorribile.
    I cambiamenti sono faticosi perché non vogliamo rinunciare al mito o all’idolo della felicità già bella e pronta:basta pagare e ci danno quello che desideriamo. Che inganno. Ma da millenni la felicità è diversa per ogni individuo. Ha tratti comuni ma significati e modi di tradursi diversi per ogni persona. L’amore è si universale ma ve ne sono diversi tipi…tanto per fare un banale (mica tanto) esempio.
    Il problema è ora capire che il tempo per assimilare certe cose non può essere troppo lungo: pena l’infelicità perpetua.

  3. Alessandro ha ragione. Cambiare paradigma culturale richiede tempo, ma quanto tempo ci resta per cambiare prima del collasso? Noi come MDF dobbiamo moltiplicare i nostri sforzi proprio perchè i segni del collasso ci sono tutti e ci sono da tempo. Ma noi, ostinatamente, non ci stancheremo di indicare che esiste una via di uscita! 🙂

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