Da molti anni ho abolito nella mia vita la riduzione del Natale alla celebrazione di una frenesia consumistica senza senso, che non solo accentua la crisi ambientale e le ingiustizie nei confronti di chi non ha il necessario per vivere, ma per i cristiani, non per quelli che si limitano a dire di esserlo, assume anche una connotazione sacrilega. Ridurre l’anniversario dell’incarnazione di Cristo a un’occasione per esasperare i peccati capitali di una società che si fonda sull’avidità, sulla sopraffazione, sulla perdita del senso del limite, significa rafforzare il materialismo della vita di ogni giorno proprio quando si dovrebbe cogliere l’occasione per ridimensionarlo e restituire alla spiritualità la dimensione che le spetta nella vita umana.

Cosa significa fare gli auguri di Natale? Capisco augurare buon anno, ma non riesco a capire il senso di augurare buon Natale con un bigliettino, un sms, una mail, o un pacchetto regalo che si è cercato affannosamente affollandosi in strade piene di traffico, davanti a vetrine illuminate in maniera accecante, piene di oggetti che, quando questa celebrazione della follia sarà finita, verranno messe in vendita a metà prezzo. Scambiarsi gli auguri di Natale in questo contesto significa dirsi a vicenda, senza accorgersene: «Siamo dei babbei che si stanno facendo prendere in giro».

Per me trascorrere un buon Natale significa cogliere l’occasione per rinsaldare i rapporti comunitari, a partire da quelli familiari. Non una volta all’anno, come una parentesi all’interno di una vita dedicata principalmente al lavoro e al consumo, ma come il rinnovo annuale di una promessa reciproca a farli prevalere su tutte le pressioni che ci inducono a considerarli meno importanti del lavoro e del consumo. Come la conferma gioiosa e irridente di un patto di disobbedienza civile suggellato attorno a una tavolata e consacrato da una buona bevuta, laica, di vino. Così, del resto faceva Gesù, secondo quanto ci ha tramandato l’evangelista Matteo, 11,19: «È venuto il Figlio dell’uomo, che mangia e beve, e dicono: “Ecco, è un mangione e un beone”». Da cui, ai tempi nostri, si può anche dedurre un invito a usare di meno l’automobile, come suggerito dallo striscione a lettere cubitali esposto da un oste di Alba (CN) fuori del suo locale: Guida poco devi bere.

Maurizio Pallante

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