«Chiusura delle aziende agricole, concentrazione delle terre, brevetti e monocolture: questi gli effetti del potere delle multinazionali nel settore alimentare». Ecco il quadro tratteggiato nell’Atlante delle multinazionali 2017, cifre e fatti del settore agroalimentare da Barbara Unmuessig, presidente della Fondazione Heinrich Boell (con Friend of the Earth ha pubblicato il Meat Atlas, rapporto sull’impatto ambientale degli allevamenti industriali) insieme ad altre cinque organizzazioni (Rosa-Luxemburg-Stiftung, Bund fuer Umwelt und Naturschutz Deutschland, Oxfam Deutschland, Germanwatch e Le Monde Diplomatique]. Si tratta di un report tutt’altro che tranquillizzante che al momento potete leggere solamente in tedesco qui.

A darne notizia è l’austriaco Bauern Zeitung, ripreso da Agrapress: «Una quota crescente della produzione alimentare è nelle mani di un numero sempre più ristretto di multinazionali, e tutto ciò a scapito delle piccole aziende agricole, dei lavoratori e della sovranità alimentare di ciascun Paese».

Pensate che dal 2015 al 2016 cinque delle dodici acquisizioni a maggiore intensità di capitale, realizzate da società quotate, hanno riguardato il settore agroalimentare (a tal proposito abbiamo da poco dato notizia del tentativo di acquisizione di Unilever da parte di Kraft-Heinz), tanto che, con un totale di 347 miliardi di dollari (325 miliardi di euro), il valore delle operazioni di fusione tra le aziende del comparto è stato cinque volte superiore rispetto a quello registrato nel settore farmaceutico e petrolifero. Sì, avete letto bene, l’agroalimentare supera persino i due settori che più di tutti fanno muovere il mondo.

Al momento, leggiamo nel rapporto, quattro multinazionali – Archer Daniels Midland, Bunge, Cargill e la società Louis Dreyfus – controllano circa il 70 per cento del commercio mondiale di materie prime agricole (grano, mais e soia, seguite da zucchero, olio di palma e riso), mentre il 50 per cento del mercato globale delle tecnologie agricole è dominato da tre grandi gruppi: Cnh Industrial, con sede nei Paesi Bassi, Fiat (che comprende 12 marchi tra cui Case, New Holland, Steyr, Magirus e Iveco) e il gruppo statunitense Agco con Gleaner, Deutz-Fahr, Fendt e Massey Ferguson.

Ma niente in confronto al potere che detengono le gigantesche industrie sementiere

Il mercato delle sementi e dei pesticidi è in mano a sette società, una supremazia che potrebbe compattarsi presto. Le due società statunitensi DuPont e Dow Chemical intendono infatti unirsi, mentre ChemChina vuole acquisire il gruppo svizzero Syngenta e la società tedesca Bayer sta lavorando all’acquisizione della Monsanto, non sappiamo che intenzioni abbia la Basf. Al momento.

Questo scenario possibile e altamente probabile si tradurrebbe in tre multinazionali che controllano il 60 per cento dei mercati delle sementi e dell’agrochimica. What else?

Un controllo incondizionato dei mercati e una forza mostruosa nel condizionare governi e parlamenti.

Facciamo l’esempio di Ogm e pesticidi. In base alla legislazione Comunitaria i pesticidi non possono essere autorizzati finché non ne sia dimostrata la sicurezza, e lo stesso vale anche per gli Ogm: in Europa, come ben sappiamo e come dovrebbe essere, vale il principio di precauzione. Inoltre, per gli Ogm vale che ogni Stato dica la sua. Per quanto riguarda la coltivazione di Ogm, all’interno dell’Unione europea vige il diritto di autodeterminazione da parte dei singoli Stati. L’Italia ha inviato (ormai più di un anno fa) alla Commissione europea «le richieste di esclusione di tutto il territorio italiano dalla coltivazione di tutti gli Ogm autorizzati a livello Europeo.

Ma quali scenari si aprirebbero se passassero i trattati transatlantici? E quali se questi giganti assumessero ancora più forza?

Gli autori del rapporto non nascondono certo la preoccupazione che, nonostante le norme europee in materia di autorizzazione ed etichettatura degli Ogm, questi giganti globali possano contestarli in quanto ostacoli alla crescita e al commercio. Se l’unione fa la forza a loro il potere certo non manca.

Altro aspetto che mette in difficoltà e che fa di molti contadini eroi quotidiani, sono i brevetti sulle piante che costringono gli agricoltori ad acquistare ogni anno le sementi. Con una perdita irrimediabile di sovranità degli agricoltori nella scelta e produzione del seme e, conseguentemente, di biodiversità.

Forse questo rapporto dovrebbe girare di più tra i banchi del Parlamento, non sarebbe male che i nostri deputati europei provassero a stare dalla parte degli agricoltori… Perché, come scrivono gli autori del documento, «chi si accaparra il materiale genetico attraverso i brevetti, avrà il controllo sulle sementi e dunque sull’agricoltura, sulla produzione alimentare e, dunque, sulla sicurezza alimentare mondiale».

A buon intenditore…

 

Michela Marchi

DAL Blog di SlowFood

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