Un monitoraggio condotto dall’azienda Asìa Napoli ha riscontrato nella falda acquifera sottostante la discarica Sari attiva nel Parco Nazionale del Vesuvio elevati livelli di ferro, manganese, nichel, zinco, cadmio, floruri, Policlorobifenili e Aldrin (un pesticida).

A renderlo noto è il Corriere del Mezzogiorno tramite un articolo nel quale si legge che i sindaci del Vesuviano hanno scritto alla Asl chiedendo di essere informati circa i possibili danni alla salute umana provocati dall’utilizzo dell’acqua per l’irrigazione dei campi.

Secondo l’Asia e l’Arpac, tuttavia, non sarebbe stato lo sversamento dei rifiuti a determinare l’inquinamento dell’acqua dal momento che, ancor prima dell’inizio dell’attività della discarica, erano stati riscontrati gli stessi valori.

“Con quale criterio è stata decisa l’apertura di una discarica in un’area già compromessa?”, si interroga Legambiente. E, viene da chiedersi di conseguenza, come è possibile che si pensi addirittura all’apertura di una seconda discarica?

Proprio contro l’apertura di una nuova discarica è intervenuta anche Confagricoltura Napoli. Qualora si desse corso all’apertura della seconda discarica nel Parco Nazionale del Vesuvio, un intero patrimonio agricolo sarebbe minacciato: i prodotti tipici del Vesuviano, dal Lacryma Christi alle albicocche fino al pomodorino del piennolo, verrebbero irrimediabilmente danneggiati.

Secondo il presidente, Antonio Nucci, e il direttore dell’organizzazione, Francesco Fiore, l’effetto sarebbe “un disastro ambientale, umano ed economico”.

Continua intanto l’impegno dei cittadini per tutelare il proprio territorio. In prima linea nella protesta le madri dei bambini di Terzigno, soprannominate ‘mamme vulcaniche’, che allarmate anche dai dati preoccupanti circa l’irreversibile inquinamento delle falde acquifere stanno portando avanti una serie di iniziative per affermare il proprio no all’apertura della seconda discarica, una condanna per il territorio e i propri figli.

Fonte: Il Cambiamento

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