Dalla catastrofe di Fukushima e dalla coltre di nebbia (radioattiva e mediatica) che avvolge il disastro che ha messo ko il “nucleare sicuro” made in Japan, emerge ora una inquietante storia di veleni, corruzione e omessi controlli. Al centro del caso, il combustibile che alimenta il terzo reattore della centrale: si chiama Mox, acronimo di “mixed oxide fuel” ed è una pericolosa miscela di uranio e plutonio. Vantaggi: consente di riciclare il plutonio dismesso delle testate atomiche, che altrimenti resterebbe in circolazione come spazzatura di difficile smaltimento, e permette di risparmiare sull’uranio. Secondo l’ambientalista americano Ralph Nader, il Mox è «la sostanza più tossica conosciuta dall’uomo». Il suo impiego richiede controlli speciali: che furono evitati pagando mazzette alle autorità.

Lo scandalo, scrive Gabriele Battaglia su “PeaceReporter”, si apre nell’agosto 2008 con la condanna a tre anni, per corruzione, dell’ex governatore di Fukushima, Eisaku Sato. «È stato pescato con le mani nel sacco in uno scandalo di quelli che si vedono a ogni latitudine», scrive Battaglia, «ma oggi molti giapponesi si chiedono se tra quella condanna e l’emergenza nucleare di Fukushima non ci sia qualche nesso». Al centro del caso, il procedimento industriale “plu-thermal”, quello dei reattori nucleari alimentati a Mox. Già nel 1999 uno scandalo internazionale aveva coinvolto una compagnia governativa inglese, la British Nuclear Fuels, accusati di aver fornito al Giappone quantitativi di Mox con documenti di sicurezza falsificati, per risparmiare sui controlli.

«Quando la verità emerge – scrive “PeaceReporter” – comincia la lotta del governatore Sato contro il Mox che alimenta anche Fukushima: non solo non è sicuro, ma non è più neanche così economico». Nonostante ciò, Tokyo decide che entro il 2010 almeno 16 centrali dovranno essere alimentate con la miscela tossica. Nel maggio del 2001, il piano “plu-thermal” incoraggiato dal governo sbatte però contro un referendum indetto dal villaggio di Kariwa, nella prefettura di Niigata. Poi è l’anziano governatore di Fukushima a prendere le redini dell’opposizione: entra in conflitto con i burocrati della Commissione per l’energia atomica del Giappone e con i funzionari della Tepco, l’azienda di servizio pubblico che gestisce la centrale di Fukushima.

In un’intervista del giugno 2002, il governatore Sato accusa: la commissione giapponese per l’energia nucleare «è una scatola nera e non fa alcun controllo», mentre il governo «non ascolta le autorità regionali». In un incontro con i sindaci della prefettura sbotta: «Se non c’è un piano per il riciclo, ci sarà sempre più plutonio in circolazione». E ancora: «Nel mercato senza regole dell’energia, se si implementa il costosissimo programma “plu-thermal”, si arriva poi ai licenziamenti dei lavoratori». Infine, il 26 settembre dello stesso anno blocca il progetto “plu-thermal” per la centrale di Fukushima. Rieletto nel 2006, finisce però per dimettersi, coinvolto nello scandalo che colpisce il fratello minore Yuji: mazzette per la costruzione di una grande diga.

Intanto, l’affare Mox prosegue il suo percorso giudiziario: nel 2008 arriva la prima condanna e nel 2009 la seconda. I media si interrogano: non è che lo scandalo della diga (al quale il dimissionario Sato si è sempre proclamato estraneo) era solo un trucco per sbarazzarsi del governatore di Fukushima, nemico del combustibile “plu-thermal”?
«L’ennesimo sospetto – scrive Battaglia – rafforzato da silenzi e reticenze del governo e della Tepco». Per inciso: «Le “moderne” centrali di terza generazione che dovrebbero comparire in Italia sono proprio alimentate a Mox».

Intanto, dopo le dimissioni di Eisaku Sato, a Fukushima ha preso il suo posto il quasi omonimo Yuhei Sato, nipote di una vecchia volpe della politica nipponica, Kozo Watanabe, che già negli anni ’70 ottenne la costruzione della centrale nucleare nella propria circoscrizione elettorale: Fukushima, appunto. E se lo zio porta a casa l’atomo, il nipote ci porta il “mixed oxide fuel”. Proprio la storia del Mox potrebbe aiutare a spiegare gli attuali silenzi, sia della Tepco che del governo di Tokyo. Dopo la scoperta delle false certificazioni inglesi, il Mox viene ufficialmente abbandonato nel 2002, «quando si scopre che fin dal 1977 la Tepco ha sistematicamente occultato i problemi di sicurezza delle proprie centrali». Non solo: l’intero impianto di Fukushima I resta chiuso fino al 2005.

Con il “nuovo” Sato, la Tepco torna all’attacco e il 20 gennaio 2010 ripresenta la domanda per il programma “plu-thermal” a Fukushima I. Il governatore concede il permesso e all’assemblea il 16 febbraio spiega di aver ottenuto garanzie su «sicurezza sismica, contromisure all’invecchiamento e integrità del combustibile Mox». A quel punto, la Tepco compie un’ispezione del combustibile stoccato: la prima dopo più di dieci anni. Secondo il Citizens’ Nuclear Information Center (Cnic) lancia l’allarme: si sarebbe trattato di un controllo «solo visivo», superficiale, assolutamente inadeguato.

La miscela di plutonio e uranio, continua Gabriele Battaglia, diventa quindi a tutti gli effetti parte (il 6%) del combustibile che alimenta il reattore 3 della centrale. E il progetto “plu-thermal” intercetta un finanziamento statale di 60 miliardi di yen, pari a circa 525 milioni di euro. Sono i cosiddetti sussidi di “installazione del sito”, che ogni anno finiscono nelle casse delle prefetture che hanno accettato il nucleare sul proprio territorio, per un totale di circa 150 miliardi di yen su scala nazionale. A pagare sono i contribuenti giapponesi, attraverso una speciale tassa applicata alla bolletta elettrica.

«Appurato lo scambio politico – osserva “PeaceReporter” – resta da verificare se dietro alla vicenda del Mox a Fukushima ci siano anche interessi economici diretti degli uomini chiamati a decidere. Per il momento, la scarsa trasparenza dei politici e della Tepco lo fa sospettare a molti giapponesi». In realtà, dice lo scrittore antinuclearista Hirose Takashi, per Fukushima servirebbe la soluzione più drastica ma sicura: la chiusura della centrale e il suo seppellimento sotto un sarcofago di cemento armato come quello utilizzato a Chernobyl. Secondo Takashi, i politici e la Tepco temono di perdere denaro. Inoltre, «riconoscere che la centrale va chiusa significa ammettere l’ipotesi peggiore, e cioè che tutti i dieci reattori delle due centrali di Fukushima (I e II) andrebbero seppelliti sotto una colata di cemento: un’ammissione con inevitabili ricadute su tutta la politica energetica nazionale» (info: www.peacereporter.net).

Fonte: Libre

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