Nessuna pietà per la valle di Susa: questione di ore, e i militanti No-Tav saranno nuovamente attaccati dalle forze antisommossa, pronte a sgombrare il campo “ad ogni costo” su ordine del governo per consentire l’apertura a Chiomonte del primo cantiere della Torino-Lione entro il 31 maggio. Si teme che l’assalto venga sferrato nella notte fra domenica e lunedì, scrive “Il Fatto Quotidiano”, una volta diradatasi la folla accorsa numerosa, sabato 28, per colorare la protesta lungo i tornanti del Colle delle Finestre su cui si è arrampicato il Giro d’Italia. Ma non c’erano solo attivisti valsusini: ha raggiunto i No-Tav una delegazione di operai della Fincantieri, per sostenere la resistenza della valle di Susa contro la maxi-opera «inutile», mentre i cantieri navali di Genova e Napoli sono sotto minaccia di chiusura.

L’Italia che sta affrontando la peggiore crisi della sua storia recente, con spaventosi tagli in arrivo sulla spesa sociale – 46 miliardi l’anno, la scure europea sul welfare – non prende neppure in considerazione l’ipotesi di riflettere meglio sulla Torino-Lione, in teoria la maggiore infrastruttura nazionale: 20 miliardi di euro, per i quali non esiste un rapporto costi-benefici. In pratica un atto di fede (interamente scaricato sulle tasche dei contribuenti, attuali e futuri) nella sbandierata convinzione che la nuova linea ferroviaria sia una leva strategica di sviluppo. Tesi bocciata dalla valle di Susa: tutti gli indicatori rivelano che la Torino-Lione, idea ormai obsoleta – nata all’inizio degli anni ’90 per l’Europa di allora, ancora in espansione – sarebbe una linea fantasma, senza traffico né passeggeri né merci, visto che la rotta continentale è ormai la Genova-Rotterdam che trasferisce da sud a nord le importazioni da Cina e India attraverso gli snodi novaresi e lombardi e i trafori Italia-Svizzera.

Il sospetto è che la Torino-Lione faccia semplicemente gola a chi la realizzerà: tutta o anche solo in parte, quanto basta per mettere le mani sulla quota europea del faraonico finanziamento, anche a costo di ridurre la valle di Susa a un inferno di cantieri pericolosi. «Il più appassionato», scrive Roberto Cuda sul “Fatto”, sembra il sindaco uscente Sergio Chiamparino, a pochi giorni dalla scadenza del mandato, «seguito a ruota dal successore Piero Fassino, dalla Confindustria e dalla Camera di Commercio locali e naturalmente dai vertici della Provincia di Torino e dalle Regione Piemonte». Tutti uniti contro “la valle che resiste”: «E per non cedere di fronte a quella che viene definita “una minoranza” – composta però dalla grande maggioranza dei sindaci e dei valsusini interessati dalla linea – si va parlando da qualche giorno di militarizzazione del territorio. Ma non sarà una passeggiata respingere un movimento così compatto, in una zona impervia e assai poco praticabile».

«Basta parole», scandisce Chiamparino, irremovibile. «Basta progetti di lungo periodo come andare nelle scuole. Abbiamo ancora cinque giorni di tempo per far partire i lavori e allora dobbiamo chiedere a Maroni di mettere in campo tutte le azioni che possano garantire la legalità nel rispetto delle regole». Il sindaco uscente, scrive Maurizio Tropeano su “La Stampa”, sprona il “gotha” del mondo politico-economico piemontese, che sulla Tav «parla con una voce sola». Giura che «la Tav è strategica», senza mai spiegare perché, né tantomeno fornire cifre credibili, provando a contestare – conti alla mano – le contro-analisi che i No-Tav hanno commissionato ai migliori esperti universitari italiani. Niente da fare: il leader degli industriali torinesi, Gianfranco Carbonato, annuncia l’invio di una lettera al ministro dell’interno: la Confindustria chiede a Maroni di aprire il cantiere ad ogni costo, anche usando la forza. D’accordo anche Barbara Bonino, assessore regionale Pdl alle infrastrutture, e Antonino Saitta, presidente Pd della Provincia di Torino.

«Non possiamo gettare a mare le aspettative di lavoro create», dice Maria Luisa Coppa, presidente dell’Ascom, senza spiegare se allude alla semplice attività cantieristica o anche alle eventuali ricadute dell’infrastruttura sul sistema industriale – in quel caso, mai dimostrare da nessuno studio in oltre vent’anni di tentativi di logorare o piegare la resistenza civile della valle di Susa. Una posizione che appare ideologica, ribadita anche da Cna e Confesercenti. Il sottosegretario berlusconiano alle infrastrutture, Mino Giachino, si allinea coi dirigenti del centrosinistra, da Chiamparino a Fassino: si vuole «agire subito e con determinazione, per evitare che prendano corpo e forma progetti alternativi come quello che passa da Genova oppure sopra le Alpi, da Ginevra». Per l’economia piemontese «sarebbe impensabile perdere la Torino-Lione», dice il presidente della Camera di Commercio torinese, Alessandro Barberis, anche lui senza preoccuparsi di fornire la minima dimostrazione della sua tesi.

Luigi Rossi di Montelera, antico boiardo democristiano ora alla guida della società Transpadana, ne fa addirittura un problema di democrazia: «Non possiamo accettare che quest’opera venga abbandonata per colpa di una minoranza». Mariella Enoc, presidente di Confindustria Piemonte, si rammarica che la Coldiretti si sia schierata coi No-Tav a difesa del verde, che significa pascolo per gli allevamenti. E racconta di aver fatto pressione anche sull’arcivescovo torinese, monsignor Nosiglia, perché convinca il vescovo di Susa e i cattolici valsusini – schierati anch’essi nella difesa della loro valle – perché «evitino di diventare una forza No-Tav». Ancora una volta, il network trasversale al potere finge che i No-Tav siano «una minoranza» addirittura violenta, pronta a prevaricare la mite «maggioranza silenziosa» dei valsusini. «Ormai sono quattro gatti», disse Chiamparino un anno fa, ricevendo per tutta riposta un corteo popolare con 40.000 cittadini decisi ancora una volta a marciare contro la Torino-Lione. Ripresero i sondaggi geologici contrastati dai No-Tav, e una inerme manifestante finì all’ospedale, massacrata di botte dalla polizia.

I consiglieri regionali e comunali grillini hanno regalato a Piero Fassino (che è nato ad Avigliana, in valle di Susa) 1200 banconote da 10 euro con il marchio No-Tav: «Tanto costa un centimetro di quell’opera inutile e dannosa», una infrastruttura demenziale che rappresenta «una dichiarazione di guerra al popolo No-Tav». I sindaci valsusini, contrari all’opera, provano a resistete ancora, tentando un profilo istituzionale: hanno presentato un ricorso al Tar del Lazio contro la procedura per l’apertura dei cantieri per il “tunnel geognostico” della Maddalena di Chiomonte, l’anteprima della Torino-Lione, il cui avvio darebbe il via libera alla cascata di finanziamenti. «Ci sono quattro punti che secondo i nostri avvocati presentano vizi di legittimità», spiega il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano: «Per questo motivo abbiamo chiesto ai giudici la sospensione immediata dell’esecutività della delibera Cipe».

Plano è iscritto al Pd come molti suoi colleghi valsusini: tutti bollati come “eretici”, al momento di schierarsi sul futuro della valle. «Dicono che la Torino-Lione porterà lavoro, ma sbagliano: si tratta di un’opera faraonica e inutile, che devasterà per sempre la valle di Susa». L’area investita dal progetto teme i cantieri, i disagi, le polveri pericolose (uranio e amianto) e l’impatto sul territorio: cementifici, viabilità sconvolta, tonnellate di materiale estratto dalle gallerie. Una catastrofe ambientale, sociale e anche economica: crollerebbe il valore degli immobili. I valsusini tuttavia non accettano compensazioni: dicono che la Torino-Lione sarebbe una sciagura non solo per la valle di Susa, ma per l’Italia. «Un crimine contro l’umanità di domani – secondo Beppe Grillo – costretta a pagare un debito immenso, per un’opera completamente inutile». Si teme anche l’infiltrazione della nuova mafia, attratta da investimenti “sicuri” come le grandi opere, e si paventa il rischio che le falde acquifere possano essere tagliate: la valle di Susa, pur nel cuore delle Alpi, potrebbe restare all’asciutto, come il Mugello prosciugato dai cantieri Tav della Bologna-Firenze.

In vent’anni di discussioni, negoziati e scontri sul terreno, le istituzioni non si sono mai prese la briga di provare a dimostrare pubblicamente l’utilità della Torino-Lione, limitandosi sempre a ripetere slogan (“non possiamo perdere quel treno”) isolando i valsusini, grazie anche alla disinformazione generale che, in Italia, protegge i fautori della maxi-opera. Poche le inchieste serie, come quella di “Exit” su “La7” che ha dimostrato, cifre alla mano, l’assoluta insostenibilità dell’opera. «Siamo mobilitati per difendere le nostre case, la nostra salute, la nostra valle – dicono i No-Tav – ma sapendo che la nostra battaglia è per l’Italia: per impedire che gli italiani (tutti: da Bolzano a Palermo) siano poi costretti a pagare, in termini di tasse e tagli sui servizi sociali, il costo di un’opera pubblica mostruosa e totalmente inutile, vantaggiosa solo per la Casta politico-economica, la lobby dei costruttori».

Il momento è cruciale, ribadisce “Il Fatto”, poiché entro il 31 maggio scadono ufficialmente i termini per l’erogazione dei soldi europei. Se la Casta preme anche su Maroni perché stavolta gli agenti antisommossa espugnino “ad ogni costo” il presidio No-Tav della Maddalena, dove nei giorni scorsi i militanti hanno fermato un primo “assalto” notturno (anche ricorrendo a barricate improvvisate e ad una fitta sassaiola), ora «la tensione è palpabile e tutti sanno che un’incursione delle forze dell’ordine è solo questione di ore». Voci ricorrenti parlano della notte tra il 29 e il 30 maggio. «Il mandato dell’assemblea di giovedì scorso è quello di non reagire in caso di attacco», dice Alberto Perino, tra i portavoce del movimento, che annuncia: gli attivisti si limiteranno stavolta a fare resistenza passiva. «Con questa convinzione, resisteremo per mantenere il presidio alla Maddalena». Mentre l’Italia sarà incollata ai monitor per seguire in diretta l’esito dei ballottaggi di Milano e Napoli, sulla valle di Susa potrebbe abbattersi l’ultima tempesta.

Fonte: Libre

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