Prendete tutti i 900 mila elettori che hanno votato Pisapia, Fassino, Zedda e De Magistris. Moltiplicateli per 27: ecco sono tutti quelli che il 12 e 13 giugno dovranno andare a votare per ottenere il quorum ai referendum. Cinque volte i telespettatori che giovedì hanno visto Annozero. Ottantamila volte il numero dei deputati che sostiene la maggioranza di centrodestra. Altro che i trenta Responsabili, qui ci vuole mezza Italia che abbia voglia di democrazia. Delle 15 occasioni, negli ultimi 40 anni, in cui serviva che il 50 per cento più uno degli italiani andasse a votare ci si è riusciti solo otto.

L’ultimo referendum ad aver raggiunto il quorum risale al 1995. Poi più nulla. E in ballo c’erano questioni importanti: dalla legge elettorale alla procreazione assistita, dall’articolo 18 all’abolizione dei rimborsi elettorali per i partiti. Per questo i comitati promotori dei 4 quesiti al voto chiedono di cominciare l’operazione-passaparola, perché le persone da portare ai seggi sono tante: almeno 25 milioni 332 mila e 487. E stavolta c’è anche l’incognita del voto all’estero: sulle schede spedite ai consolati – che saranno distribuite a partire dal 9 giugno – c’è un quesito diverso da quello che voteremo in Italia. Il referendum sul nucleare, infatti, è stato riscritto alla luce della sentenza della Cassazione che ha interpretato (negativamente) la decisione del governo, che nel decreto Omnibus, aveva provato a far credere di aver cambiato idea sulle nuove centrali. Venerdì, il ministro Maroni, a chi gli chiedeva come il Viminale avrebbe risolto la questione, ha risposto: “Qual è il problema?”.

Al comitato Fermiamo il nucleare non è piaciuta questa “sottovalutazione” perché il rischio che problemi ci siano c’è eccome. Soprattutto se i voti di quei 3 milioni 236 mila e 990 fuori confine risulteranno decisivi per il quorum. Ci sono poi, al momento, 10 mila e 103 italiani temporaneamente all’estero, e altri 17 mila fuori sede che hanno chiesto di poter votare in una città diversa da quella di residenza. Nel dubbio, dicono dai comitati, meglio puntare a “27 milioni”. La stessa tesi dell’Idv di Antonio Di Pietro, che avverte: da qui a domenica prossima, tutti a caccia dei voti di centrodestra, perché bisogna assolutamente evitare che i quattro quesiti siano intesi come un referendum pro o contro Berlusconi. “Dobbiamo raggiungere il quorum sapendo che non basta il 50%, ma serve il 60%” perché, dice Di Pietro, “sono pronto a scommettere che il ministero dell’Interno farà tutto il possibile per non conteggiare i voti dei connazionali” all’estero.

Lui, Berlusconi, venerdì a MattinoCinque ha detto che andare a votare è “inutile”: nessun accenno al legittimo impedimento, ma “non è vero che si vuole privatizzare l’acqua” e le norme sul nucleare “non esistono più”. Quindi, andate pure al mare: lo disse già Bettino Craxi nel 1991. Anche allora era il secondo weekend di giugno, e si votava per la preferenza unica alla Camera. Gli italiani forse al mare ci andarono lo stesso, ma dopo essere passati dai seggi: il quesito passò, con un quorum del 62,5 per cento.

Vada anche per l’invito balneare, dunque, purché se ne parli. Il Gruppo di ascolto sul pluralismo televisivo ha contato pochissimi minuti nelle edizioni principali dei tg di giovedì: 49 secondi da Minzolini, 7 minuti e 34 secondi al Tg3, 42 secondi al Tg4 e 49 al TgLa7. Nemmeno un accenno da Tg2 e Tg5. Ieri l’Agcom ha mandato alla Rai “l’ultimo avviso”: da oggi, la tv pubblica è obbligata a trasmettere le tribune elettorali e i messaggi autogestiti non in orari da bebè o da nottambuli. Inoltre la Rai dovrà garantire una “rilevante presenza dei temi oggetto dei referendum” nei tg e nei programmi di approfondimento. Porta a Porta l’altro ieri parlava di vacanze. In studio, Michela Vittoria Brambilla, titolare del Turismo. Ministero abolito dal referendum del 18 e 19 aprile 1993.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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