L’ultimo attacco scatenato dalla speculazione contro i titoli del debito pubblico italiano e spagnolo, aveva un preciso scopo: far lievitare il loro rendimento al di sopra dei tassi dei prestiti bancari. In pochi giorni la differenza fra un BTP trentennale e un mutuo trentennale ha superato il punto percentuale  per il tasso fisso e i due punti per il variabile. Mai si era assistito a un simile evento fuori da ogni logica economica.
Spingendo la volatilità al massimo la speculazione ha ottenuto un triplice risultato:
1) conseguire considerevoli utili puntando al ribasso;
2) costringere la BCE a intervenire subito, acquistando titoli dei due stati, per eliminare quell’anomalia che, se fosse continuata, avrebbe ridotto al lumicino l’accesso al credito,  poiché le stesse banche italiane, visti i rendimenti, avevano già cominciato a investire la propria liquidità in titoli di stato, preferendoli ad affidamenti più rischiosi in favore delle piccole/medie imprese e privati;
3) conseguire ulteriori utili al rialzo, con la sicurezza matematica che l’intervento della BCE avrebbe fatto salire i corsi.
Al  G20 di Toronto, con il pretesto di uscire dalla crisi mondiale, provocata dalla speculazione, il summit aveva varato un programma di austerità e rilancio, condito dalla peggiore ricetta liberista, alla quale si dovevano sottoporre i paesi più colpiti, fra i quali l’Italia, per risanare i bilanci e assicurare la redimibilità del proprio debito pubblico.
Serge Latouche in un suo lungo articolo apparso sul manifesto del 27 luglio u.s. ha sintetizzato l’accordo finale: “ Recupero controllato nel rigore e austerità temperata nello stimolo” che il consigliere di Sarkozy, Alain Minc, ha tradotto con un neologismo : “ Si deve premere sia sul freno che sull’acceleratore”. In definitiva il G20 ha dimostrato tutta la sua debolezza e incapacità di contrastare la lobby della finanza mondiale.
L’articolo è interessante perché sviscera le debolezze degli stati occidentali, compresi Germania e Stati Uniti, succubi del potere finanziario al punto di privarsi delle uniche difese economiche in loro possesso che sono state trasformate in tabù improponibili:  :nazionalizzazioni, inflazione, protezionismo e il ritorno alla moneta nazionale. Perfino la proposta minimale della Tobin Tax è stata rigettata dai mercati finanziari.
Anche se la vicenda dell’Islanda non può essere paragonata a quella di Grecia, Italia e Spagna, è significativa. Con due referendum i cittadini hanno respinto a grandissima maggioranza le proposte di risanamento del debito dei governi di centro-destra e  sinistra, iniziando una vera e propria rivoluzione, attraverso un progetto di nuova costituzione che prevede un vero e proprio controllo telematico dei cittadini sulla politica, affidato a 25 saggi senza tessere di partito.
Le banche sono state nazionalizzate e per quanto riguarda la loro esposizione debitoria privata e pubblica con l’estero, la restituzione, se avverrà, avrà tempi lunghissimi. Non essendo sottoposti a vincoli europei e di moneta unica, gli islandesi si sono svincolati dal potere delle lobbies finanziarie e hanno proceduto a svalutazioni di comodo della loro corona ISK. Un primo risultato della rivoluzione c’è stato, il boom delle nascite, segno di fiducia nel futuro.
Forse ha ragione Latouche: i tabù vanno riscoperti poiché austerità e crescita sono incompatibili proprio come il freno e l’acceleratore.

Alberto Filippi  – movimento decrescita felice

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