Il più grave problema della striscia di Gaza? L’Onu non ha dubbi, è la scarsità idrica. Il milione e mezzo di abitanti di questo lembo di terra potrebbe infatti ritrovarsi senza acqua potabile entro il 2016. A meno che non si riesca a finanziare un impianto di dissalazione, che trasformi l’acqua da salata a dolce. Costo: 500 milioni di dollari. Una situazione al limite, quella di Gaza, le cui cause risiedono principalmente in due fattori: l’eccessivo inquinamento, anche dovuto all’assenza di controlli delle acque reflue, e lo smodato sfruttamento dell’unica falda acquifera disponibile, condivisa con Israele ed Egitto. A rivelarlo è un rapporto del Programma Ambientale delle Nazioni Unite (Unep). Che, in occasione della Settimana mondiale dell’acqua a Stoccolma, mette in guardia: i danni alle riserve d’acqua di quei territori potrebbero presto rivelarsi irreparabili, rendendo l’area completamente “invivibile”.

Un milione e seicentomila abitanti, di cui più della metà bambini, destinati a superare i due milioni entro la fine di questo decennio: è la popolazione della striscia di Gaza, una delle zone più densamente popolate del pianeta. Sono molti i problemi da affrontare, lì, ma il primo è quello della carenza di acqua. Già oggi, rivela l’Onu, le centinaia di migliaia di persone che ci vivono devono attingere da una sola falda acquifera che non solo è penalizzata dalle scarse piogge, ma è anche sovra-sfruttata: invece dei 55 milioni di metri cubi all’anno che le permetterebbero di non prosciugarsi, infatti, se ne estraggono oltre 160 milioni. Di questo passo, avverte l’Unep, entro il 2016 le riserve idriche dell’intera regione saranno esaurite.

C’è poi il problema dell’inquinamento, che rischia di diventare irreversibile: il 90% dell’acqua disponibile, infatti, è già oggi talmente avvelenato da non essere utilizzabile. Colpa dell’eccessiva quantità di nitrati e fertilizzanti usati in agricoltura, ma anche della quasi totale mancanza di controlli delle acque di scolo. Una situazione dai pesanti risvolti sanitari, tanto che a Gaza un quarto delle malattie sono riconducibili alla pessima qualità dell’acqua.

L’emergenza umanitaria è alle porte, avverte l’Onu, che sottolinea la necessità di lasciare da parte le divergenze per risolvere una crisi dalle conseguenze inquietanti. Se non si fa qualcosa subito, scrivono gli autori dello studio Gaza in 2020. A liveable place? Bisognerà attendere alcuni secoli prima di potere riutilizzare l’unica falda presente in quella zona. Inoltre, entro il 2020 il fabbisogno idrico di quei territori crescerà di un ulteriore 60%, rivela il rapporto, e “anche con azioni correttive immediate ci vorranno decenni per recuperarla”.

Primo passo, dunque, è la costruzione di un impianto di dissalazione, che permetterebbe di trasformare l’acqua marina in acqua dolce potabile. Un progetto di cui si parla dal 1996, ma che non si è mai concretizzato. Oltre alle irrisolte questioni politiche che ne hanno ostacolato l’avvio, il problema è di carattere economico. La dissalazione è infatti un processo particolarmente costoso, se non altro perché richiede enormi quantità di energia.

Ora, ciò che le autorità palestinesi propongono è un impianto di dissalazione che, per funzionare, avrà bisogno di una nuova centrale da 90 MW. Una soluzione che potrebbe presto essere attuata, non solo per l’eccezionale gravità della situazione, ma anche perché questa iniziativa è supportata da Israele, oltre che da tutti i governi del Mediterraneo, dall’Onu e dall’Unione europea. Che, attraverso la Banca europea degli investimenti, supporterà la Banca per lo sviluppo islamico finanziando una parte del mezzo miliardo di dollari necessari per eseguire l’opera, ed offrirà altri 4 milioni di euro in assistenza tecnica.

Un piccolo sforzo, considerate le decine di miliardi che questo organismo finanziario ha a disposizione, ma dalle grandi implicazioni politiche. Del resto, come ha ricordato a Stoccolma il dottor Rafiq Husseini, Segretario generale dell’Unione per il Mediterraneo per l’ambiente e l’acqua, per la sopravvivenza di Gaza la dissalazione è considerata all’unanimità come “l’unica soluzione possibile”.

Fonte: ilfattoquotidiano.it

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