Da Barcellona arriveranno in bicicletta (sono partiti a fine luglio passando per la Val di Susa). Da Ferrara a piedi con gli asini. Dal Piemonte con un trekking lungo il Po. Da Kathmandu, da Lagos, da Reykjavik, da San Salvador e da altre città di 45 paesi diversi arriveranno molto probabilmente in aereo, ma seguendo i consigli contenuti in una lettera inviata dai Bilanci di Giustizia (il gruppo creato da don Gianni Fazzini che da anni monitora le spese di un migliaio di famiglie) per abbassare al minimo e compensare gli impatti ambientali.

Stiamo parlando dei seicento iscritti alla 3a Conferenza internazionale sulla decrescita per la sostenibilità ecologica e l’equità sociale che si apre mercoledì 19 settembre a Venezia (tutto l’articolato programma su: www.venezia2012.it).

A promuoverla un pool di associazioni (Research & Degrowth, Kuminda, l’Arci e altre), due università (l’Università di Architettura di Venezia e l’Università di Udine) e il Comune di Venezia.

Chi sono i decrescenti o decrescisti o «partigiani della decrescita», come li chiama Serge Latouche? In Italia il più noto sul versante della promozione della riconversione tecnologica mirata alla riduzione dei consumi energetici è sicuramente Maurizio Pallante con il suo Movimento per la Decrescita Felice. Mentre sul piano della ricerca teorica interdisciplinare, la Associazione per la decrescita di Marco Deriu, Mauro Bonaiuti, Gianni Tamino, Alberto Castagnola e altri, è sicuramente la più prolifera di pubblicazioni, scuole e divulgazioni culturali. Ma la base del movimento – è il caso di cominciare a trattarlo come tale – è costituita da una miriade di gruppi locali autonomi e molto diversi tra di loro (i partner italiani della Conferenza sono 73, aggregatisi lungo un percorso di avvicinamento e preparazione durato un anno e costellato da incontri, laboratori, campi scuola), ma tutti impegnati nella ricerca di soluzioni capaci di accompagnare l’uscita dall’era del «dopo-sviluppo», cioè di una situazione di
crisi irreversibile dei modelli economici e sociali fondati sull’idea ingannevole dell’accrescimento indefinito dei profitti, dell’accumulazione monetaria, dell’intensificazione dei consumi delle risorse naturali e dello sfruttamento umano.

Le loro premesse analitiche e le loro attività pratiche, quindi, si presentano in modo molto radicale. Alcuni, come l’Associazione degli ecofilosofi, vedono un legame molto stretto tra decrescita e deep ecology che arriva ad abbracciare animalisti ed antispecisti. (Inutile dire che il menù alla 3° Conferenza sarà per metà vegetariano e per metà vegano, preparato dalla più antica cooperativa di ristoratori La ragnatela fondatori di Slow Food, già Gambero Rosso per gli affezionati lettori de il manifesto). Per altri, invece, la decrescita è semplicemente la ricerca di stili di vita individuali il più informati e responsabili possibili. Non a caso l’anteprima della Conferenza (15 e 16 alla Centrale dell’altreconomia di Mestre) sarà un convegno nazionale dei Gruppi di acquisto e dei distretti di economia solidale dal titolo «Ricostruire comunità territoriali capaci di futuro». Per altri ancora la decrescita non si chiama decrescita, ma «Transition Town» (il movimento che opera come se il petrolio fosse già finito, fondato in Inghilterra da Rob Hopkins, presente a Venezia il giorno della inaugurazione), o «semplicità volontaria» (come la chiamava Kumarappa, l’economista di Gandhi, che sarà presentato in un Focus sulle fonti del pensiero della decrescita), o economie dei «beni comuni», come sempre più spesso si usa dire e come riferirà Silke Helfrich della Heinrich Boll Foundation di Berlino presentando uno studio decisivo sull’argomento appena pubblicato negli Stati Uniti: «The Wealth of the Commons. A World Beyond Market & State». Per altri ancora decrescita significa «Prosperità senza crescita», come dimostrano possibile i ricercatori della New Economics Foundation di Londra

Il ventaglio delle declinazioni possibili del tema della transizione, del passaggio di civiltà, utilizzando la matrice della decrescita può essere quindi ampio: si va dalle proposte più moderate vicine alla green economy a quelle esplicitamente anticapitalistiche. Alla 3a Conferenza l’arduo compito di metterle a confronto e, soprattutto, di capirne le connessioni. Per questo servono approcci interdisciplinari e multilivello. A partire dal recupero di una visione di genere sulle relazioni umane, per il superamento della divisione sessuale del lavoro. Promette bene la presenza di un significativo gruppo di studiose ecofemministe con Veronika Bennholdt-Thomsen, Alicia Puleo, Mary Mellor, Helena N. Hodge.

Forse la scommessa più interessate della formula della Conferenza di Venezia è quella di tentare di far interagire buone teorie e buone pratiche, persone impegnate sul versate «accademico» e attivisti impegnati nei movimenti della cittadinanza attiva.

di Paolo Cacciari

Fonte: Il Manifesto

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