Sui giornali e in TV ogni giorno gli economisti parlano di produttività, competitività e innovazione per rilanciare la crescita. Crescita che viene cercata, invocata, desiderata, ma che non si riesce a rilanciare. Ci dicono che siamo dentro al tunnel ma cominciamo a vedere la luce, il Pil sale di mezzo punto, ma poi scende di nuovo. Sinceramente, tutto questo mi sembra un delirio. Per fortuna che qualcuno, anzi molti, iniziano a ragionare diversamente, come le centinaia di persone che hanno partecipato a Venezia, nello scorso settembre, alla terza Conferenza internazionale sulla decrescita.

Come le migliaia di persone che si interrogano e iniziano a praticare concretamente la “decrescita felice”. Sempre più persone hanno capito che la felicità, il benessere, la qualità della vita non hanno alcuna relazione diretta con la ricchezza materiale. Avere molto non significa stare bene. Al contrario, staremo meglio se sapremo proporci come obiettivo non il meno, ma il meno quando è meglio. Il Movimento per la decrescita felice ( www.decrescitafelice.it) propone una rivoluzione dolce, fatta di semplicità, di ragione e di rispetto, che si fonda sulla scelta di ridurre la produzione e il consumo delle merci che non soddisfano bisogni. Propone un cambio di paradigma per spostare la priorità dalla crescita del Pil alla crescita dell’occupazione in lavori utili, ovvero finalizzati a ridurre gli sprechi.

Sono convinto che dalla crisi di oggi – che è ambientale, energetica, morale e politica, oltre che economica – si potrà uscire se la società del futuro saprà accogliere un sistema di vita e di valori fondato sui rapporti tra persone, sul consumo responsabile, sul rifiuto del superfluo.

Luca Salvi
Verona

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