Nell’ultimo incontro avuto con il Movimento per la decrescita felice Maurizio Pallante ha concluso il suo intervento dicendo sostanzialmente che noi uomini dobbiamo ritornare ad essere il fine della vita e non uno dei mezzi nell’ingranaggio del sistema produttivistico. Mi sento di sposare pienamente la tesi e confesso che uno dei motivi che mi spinge a continuare su questa strada sia anche questo del recupero dell’umano o meglio dell’umanizzazione.

Non è un tema secondario né da contorno, ma basilare ed urgente. Basilare perché dà la spinta motivazionale ad attivare le energie sopite dentro ognuno di noi e a trasformarle in azioni. Urgente perché la vita, lo sappiamo, è una, unica, e non può essere sprecata e dissolta nei rivoli del sistema produttivistico che vuole spezzettare tutto per una maggiore (e si badi bene non migliore) produzione di merci (e non beni) spesso inutili.

Le generazioni di oggi e quelle che ad essa vorranno accodarsi hanno questo compito: ribadire, diffondere ed insegnare questa basilare urgenza. La conseguenza di una mancata comprensione del problema sarebbe solo una bella teoria ben praticata da pochi ma non attecchita per bene nel terreno fertile (oggi molto fertile) dell’uomo. Sarebbe come fermarsi sotto il cartello stradale che indica la località da raggiungere convinti di esservi già arrivati.

Oggi che la crisi morde sempre di più sento sempre più spesso dire : “Tienitelo stretto questo lavoro” oppure: “Accetta quest’altro sacrificio di ore in più non retribuite, fallo ‘sto sacrificio, c’è gente che desidererebbe farlo”. Tutte affermazioni in parte vere, o meglio apparentemente vere se fossero un’eccezione e non la regola, se non fossero un subdolo ricatto morale di un’ennesima colonizzazione di mente e cuore.

Il meccanismo è questo: se lavori sei un grande privilegiato, i tuoi coetanei che non possono stanno soffrendo, accetta tutto per loro. Ecco più o meno funziona così nella mente dei più. Se poi lo Stato ruba più di mezza retribuzione in tasse dovute agli sprechi di altri, la colpa è di nessuno per cui zitto e vai avanti se vuoi. È una lotta fra poveri che poi ha altre conseguenze per me più devastanti. L’imbarbarimento dei rapporti umani. Accettare sempre tutto questo comporta, e i fatti mi danno ragione, che le coppie di ogni genere, hanno sempre meno tempo per vedersi e vivere la loro unica vita. Lo stesso dicasi per i rapporti con i figli, che nella migliore delle ipotesi restano a casa in balia di altro. I tempi per stare insieme o anche da soli si assottigliano sempre di più e se non hai tempo per curare te e i tuoi rapporti puoi solo imbarbarirti visto il lavoro che si fa non è sempre quello sognato e la retribuzione non è quella degna di tanti sacrifici.

Il rapporto e il valore del tempo, incalcolabile, vanno rimessi in discussione e rimessi al centro del nuovo paradigma culturale che si va delineando. Questo però non può farlo incisivamente solo il singolo, ma gruppi che INSIEME possono tracciare un nuovo cammino.

I Circoli territoriali  della decrescita felice dovrebbero servire anche a questo. Praticare e trasmettere questo nuovo e migliore modo di vivere la vita. Dal basso per arrivare anche in alto e cambiare lo stile di vita generale. Discorso importante questo, i cui frutti verranno raccolti da altri. A noi tocca tracciare il cammino insieme a chi condivide la strada, aggiustando il percorso, magari sbagliando, ma arrivando alla meta. Forse quelli di oggi potranno solo intravederla, sognarla, praticarla in parte, ma è indispensabile farlo e subito per non sprofondare nella barbarie che ormai non è più solo alle porte.

Buona decrescita felice a tutti!

Alessandro Lauro, Mdf Sorrento

One thought on “Mezzi o fini?”

  1. Grazie dell’articolo, Alessandro. Sono andata a riprendere qualche appunto sul filosofo Immanuel Kant in merito al “Regno dei fini” («agisci in modo da trattare l’umanità sia nella tua persona sia in quella di ogni altro, sempre anche come fine e mai semplicemente come mezzo») 🙂

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