Recentemente il presidente di Assindustria Squinzi ha dichiarato che in Italia stiamo subendo perdite economiche paragonabili a quelle tipiche di una guerra. Ha parlato di un calo del PIL del 9% e di una perdita del 24% del manifatturiero. Ho anche sentito imprenditori del settore edile che, in privato perché a nessuno piace mettere in mostra il proprio cinismo, lamentano il fatto che stiamo subendo tali perdite economiche senza neanche il vantaggio di avere un paese distrutto da ricostruire, com’è di solito dopo una guerra. Si ripropone per l’ennesima volta il classico ragionamento speculativo e “quantitativo”: distruzione = perdita, poi ricostruzione = guadagno. E sembra normale che in ogni guerra la morte, la distruzione, la perdita e anche la successiva fatica per ricostruire toccano quasi a tutti, mentre grandi guadagni di denaro, realizzati in entrambe le fasi, vanno a pochi speculatori. E’ sempre andata così e si continua ad evitare di mettere in discussione il “Sistema”, come se fosse un dogma intoccabile. Crediamo di essere noi a scegliere questo sistema privo di etica e anche di qualità, mentre invece stiamo subendo la più ampia e prolungata azione di propaganda della storia.

Durante il ventennio fascista il dogma era quello del “cimento bellico”. Mussolini a metà degli anni ’20 disse che l’Italia doveva prepararsi al suo destino di grandezza il quale, inevitabilmente, sarebbe prima o poi passato attraverso la guerra. La propaganda lavorò bene ed intensamente tirando su una generazione di balilla ed avanguardisti, fra salti di baionette e retorica del guerriero. Dopo anni ed anni di quel martellamento, solo in pochi mettevano in discussione “il dogma” e quei pochi si ritrovarono presto al confino a Ventotene. Poi la terribile prova della seconda guerra mondiale riportò gli italiani alla realtà e la nostra fede nel dogma del “cimento bellico” svanì nel nulla.

Oggi, come allora, pare che in pochi vogliano mettere in discussione i nuovi dogmi. Così la crescita del PIL è diventato il riferimento unico per misurare il nostro benessere. Il consumismo è l’unico strumento per il conseguimento delle nostre soddisfazioni e quindi della felicità. E la finanza globale è oggi il principale driver per lo sviluppo economico Mondiale. Qualche dubbio oramai serpeggia fra la gente a causa della grande crisi, ma il pensiero dominante propagato dai media insiste sulla validità del “Sistema” e individua eventualmente nell’euro, nella recessione, nel debito, nella nostra scarsa competitività o, al limite, nelle politiche di nazioni più forti come la Germania o gli USA i nostri nuovi “nemici” da combattere. Ci vengono indicati come i responsabili dei nostri attuali problemi. Invece credo che quelli elencati siano solo gli effetti, le conseguenze di altre scelte fatte in precedenza. Sono gli esecutori e non i “mandanti” del disastro. Nel 1945, dopo tanta retorica e dopo aver combattuto in guerra  tanti “nemici”, dovemmo ammettere che il nemico più grande che aveva scatenato tutto eravamo noi stessi. era stato il regime  fascista a cercare il “cimento bellico”, a cercare di costruire un impero, a dichiarare guerra alla Francia e all’Inghilterra. E oggi sappiamo che il fascismo ebbe molto più consenso fra gli italiani di quando poi ci hanno raccontato. Così come allora, anche oggi scopriremo presto che il vero nemico siamo noi stessi. Ci siamo fatti fregare un’altra volta dalla propaganda, quella molto attraente del consumismo. Mentre durante il ventennio fascista ci insegnavano che il massimo valore era la Patria, dopo la guerra ci hanno spiegato che il valore più importante è la libertà. Ovviamente dopo 20 anni di dittatura avere di nuovo la libertà di opinione, di voto e di orientamento religioso, non poteva che conquistare il nostro consenso. Ma subdolamente la “propaganda” ci ha spiegato che siamo in un libero mercato, dove noi tutti siamo liberi di intraprendere e di guadagnare per il conseguimento delle nostre soddisfazioni personali attraverso cose da comperare. Tali soddisfazioni sono state equiparate alla felicità la cui ricerca è un diritto che negli USA è addirittura sancito dalla Costituzione. Così è passato forte il messaggio che sono i soldi che danno la libertà e la felicità. Quindi per estensione, indipendentemente dalle leggi che per certe cose multano, ma non puniscono adeguatamente, ci siamo ritrovati liberi di sfruttare, di inquinare, di cementificare, di corrompere, di sporcare e di fare qualunque altra nefandezza per guadagnare soldi. Ognuno di noi ha contribuito in qualche modo, nel grande o nel piccolo, al successo di questo sistema. Non dobbiamo farcene una colpa, perché siamo esseri umani e impariamo sbagliando, però non dovremmo perseverare quando i fatti diventano chiari.

Per fortuna ogni errore porta con se anche una opportunità di redenzione e anche noi ce l’abbiamo. Se proviamo a cambiare punto di vista, abbandonando quello sulla quantità, per cogliere quello della qualità, ci accorgiamo subito che esiste eccome un paese distrutto da ricostruire, ma è una ricostruzione “qualitativa”, come qualitativa è stata la distruzione. Seguendo i nuovi dogmi del consumismo e del liberismo, connesso ad un economia di capitale e non più di mercato, ci siamo auto inflitti delle distruzioni qualitative immense! Abbiamo distrutto la bellezza del paesaggio, cementificato terreni fertili, costruito case energivore e sprecone, inquinato interi territori e laghi, fiumi e falde acquifere, depauperato il mare, consumato a ritmi impressionanti riserve idriche, energetiche e minerali non rinnovabili, inquinato l’aria e modificato il clima. Ci siamo mangiati a quattro ganasce il futuro dei nostri figli e non ci stiamo neanche divertendo come ci avevano promesso. Infatti sono essenzialmente le buone relazioni sociali che rendono felici le persone e il consumismo tende a distruggere e peggiorare i legami sociali in cambio di un surplus di merci inutili. Abbiamo una grande ricostruzione qualitativa da fare che darà certamente benessere, lavoro e miglioramento della qualità della vita a tante persone e che, se fatta bene, non fare arricchire più di tanto nessuno. Non è la “quantità” lo scopo. Abbiamo bisogno di grandi piani di miglioramento, come quando nel 1933 lo staff di Roosevelt creò la TVA  (Tennessee Valley Authority), costituita, nel quadro della politica del New Deal. Fu un immenso programma di recupero ambientale, sociale, economico ed energetico che diede lavoro utile a due milioni e mezzo di disoccupati e cambiò in meglio la qualità della vita delle persone in un vasto territorio. E pagandosi da se!

Dopo decenni di ideologie e falsi dogmi, finalmente stiamo facendo tutti un doloroso bagno nella realtà. E’ un momento difficile e c’è molta confusione, paura e anche sofferenza. Questo è normale. Ma certamente stiamo vivendo il periodo di malattia che ci porterà alla guarigione. Non si poteva più continuare come prima. Quando il proprio corpo brulica di virus, la febbre è il rimedio indispensabile. E adesso serve solo il coraggio di prendere anche le medicine adeguate per curare il male. Non basta sopportare la febbre. L’insieme delle emergenze globali ambientali, sociali, economiche, finanziarie e la scarsità di acqua, energia e minerali, costringerà pian piano l’umanità intera a prendere delle vie obbligate. Dobbiamo imparare a vivere senza inquinare, specie per quanto riguarda la CO2, riducendo molto le disparità e le diseguaglianze sociali, usando l’industria solo per produrre cose utili, riportando la finanza ed il debito a dimensioni minime ed utili, ovvero al servizio e non al comando della Società. E tutto questo risparmiando ed evitando di sprecare ogni goccia d’acqua, ogni grammo di petrolio, gas o altro minerale. Sembra tutto complicato e perfino utopistico se NON si vuol cambiare, ma i dati ci dicono che, volenti o nolenti DOBBIAMO cambiare e rinviare aumenta solo la cifra del conto da pagare.

L’Italia potrebbe essere, come nel rinascimento, il faro che da l’esempio e illumina la via. In Italia ci sarebbero già i fondi di garanzia ed il denaro per avviare grandi programmi sul modello di quelli del TVA, ma per fare le cose veramente in grande non sarebbe difficile e neanche politicamente compromettente, realizzare una moneta complementare nazionale su modello del WIR svizzero. Rimarrebbe l’euro e tutti gli accordi ad esso connessi, ma il governo potrebbe pagare le grandi bonifiche ambientali e le ristrutturazioni energetiche, antisismiche e idrogeologiche con una valuta interna che possa anche essere utilizzata per pagare le tasse. Son cose che, con adeguata volontà politica, si possono studiare e realizzare velocemente. C’è tantissimo da fare perché è arrivato il tempo di migliorare, non di cercare di continuare a crescere. E’ terminata l’era dell’ansia per l’aumento del PIL, per lo sviluppo sostenibile, per il tasso di sconto e per l’espansione economica. Sono falsi dogmi che non possono in alcun modo risolvere la situazione.

Adesso è tempo di migliorare qualitativamente la nostra realtà, la nostra economia, la nostra esistenza e di conseguenza quella dei nostri figli. C’è così tanto da fare!

Giordano Mancini

Ripe, 23/12/2013

One thought on “Perdite quantitative e danni qualitativi”

  1. Un articolo perfetto. Il bombardamento politico-mediatico-pubblicitario-finanziario ha causato disastri e devastazioni culturali come le bombe della seconda guerra mondiale avevano distrutto intere città e paesi. La crisi è una grande occasione per cambiare. Il modello neoliberista è arrivato al capolinea, ridicolizzato anche da Papa Francesco con una battuta fulminante che recita più o meno così: “con la crescita economica il bicchiere doveva riempirsi e traboccando ce ne sarebbe stato anche per i poveri. Invece, magicamente, il bicchiere si allarga sempre e per i più poveri non ce n’è mai…”.
    BUON NATALE A TUTTI! 🙂

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