Gli ultimi indigeni, che hanno venduto per pochi soldi, i propri alberi alle compagnie di disboscamento, che hanno perso in un solo istante la propria terra, la propria cultura, la propria capacità di sopravvivenza, sanno bene che cosa non potranno mai più avere.

La fatica quotidiana, che ognuno fa, per conciliare il proprio bagaglio di speranze, obbiettivi, modi di essere, pulsioni verso la vita e verso gli altri, con le aggregazioni sociali e lavorative, che trova fin dalla nascita, esprime a pieno la difficoltà di creare le proprie connessioni con il mondo circostante.
La capacità di adattamento si è sviluppata come per le radici di un albero sotto il manto stradale, non si sa bene quali sono gli spazi d’azione e si tenta in ogni modo di conservare qualsiasi beneficio ottenuto, quale ne sia il prezzo o quanto rappresenti un vicolo cieco.
Ci si modifica continuamente, per non perdere la propria identità, in eterno confronto con realtà immaginarie, atte a cambiare repentinamente; le esperienze passate quali che siano, sono da superare e dimenticare invece di essere di conforto e di confronto.
Ognuno percorre la propria strada troppo spesso in solitudine, come se fosse la migliore e i tentativi di aggregazione non sono sufficienti a emanare sentimenti e calore umano, che riescano a costituire una corteccia indissolubile per ognuno di noi.
In realtà il bisogno che abbiamo di stare in contatto gli uni con gli altri, emerge come involucro e colonna sonora di tutto ciò che dovremmo comprare o consumare e ancora ci guida indistintamente ogni giorno, rivelando la nostra incapacità di poterne fare a meno; si dovrebbe allora svelarne l’ambiguità e tentare di rispondere alle nostre fragili aspirazioni, senza sacrificare il profondo bisogno e soddisfazione di appartenenza alle comunità grandi o piccole che siano.
Lo sforzo dovrebbe essere, di trovare e costruire assonanze e amicizie, sorrette da doveri reciproci e approfondimenti continui, costruire bagagli e percorsi comuni da cui attingere nei momenti di difficoltà, che non rientrino nella convenienza a breve termine.
L’aiuto reciproco che sorge davanti alle calamità naturali, rivelano il nostro primario istinto di collaborazione, i nostri comportamenti quotidiani sono invece spesso utilitaristici e disgregati.
Non si dovrebbe più prescindere, quindi, dalla percezione del proprio modo di comportarsi verso l’altro, e dalla consapevolezza di quanto sia importante capire che una profonda comprensione reciproca quale ne sia il codice, sia qualcosa che abbiamo perso nel disboscamento e che in ogni modo va ritrovata.
Cinthya Costa (Mdf Roma)

2 thoughts on “L’amore romantico e il dolo empatico”

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