Un vento nuovo soffia sull’Europa, ed è forse vento di burrasca. La Grecia, con i suoi problemi e le sue difficoltà, potrebbe diventare un laboratorio strategico, soprattutto se all’orizzonte appare la possibilità concreta di ripensare l’uomo e la società secondo dinamiche relazionali orizzontali, libertarie e non dispotiche. La patria della filosofia potrebbe rivelarsi un opificio antropologico a cielo aperto: abbiamo davanti a noi davvero la concreta possibilità che dalla Grecia si cominci a pensare ad un uomo nuovo, ad un uomo che non si accontenti di essere più sapiens, ma ambisca a pensarsi humanus fino in fondo.

La cultura europea di cui noi tutti «siamo fatti» è nata lì. Lì, oltre 2500 anni fa, filosofi geniali e capaci di prefigurare il futuro, cominciarono a ragionare, per la prima volta, di democrazia, libertà, bene, verità. A prescindere dalla storia di questi concetti, di cui non possiamo dare conto qui, noi siamo figli di quegli uomini e di quelle donne e incarniamo quei pensieri. Perché i limiti del mondo che abitiamo sono anche i limiti del nostro linguaggio, ovvero siamo le parole che parliamo. E queste parole, piaccia o no, sono greche.

Fa abbastanza sorridere – ma è un sorriso amaro – ascoltare il presidente della commissione europea, Jean-Claude Juncker, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, dire che l’atteggiamento del governo greco – legittimamente eletto su un programma di sfida alla Troika – è scorretto e non rispettoso dei patti.

Ma di quali patti si sta parlando? Di quei patti che il popolo greco non ha mai sottoscritto, e che sono stati condivisi e siglati da quei politici che non hanno più alcun seguito nel paese?

I potenti d’Europa si appellano tutti al rispetto delle regole. Mariano Rajoy, presidente del consiglio spagnolo, chiede le dimissioni di Alexis Tsipras. Matteo Renzi – che a differenza di Tsipras non è stato eletto nessuno – intima al suo omologo greco di non fare il furbo e di rispettare gli accordi. Ancora! Ma quali? Gli stessi bocciati nel programma politico che ha visto trionfare Tsipras.

Il re è ormai nudo. Non so fino a che punto i politici europei abbiano chiara la situazione. Continuano a pensare che da questa crisi si possa uscire in qualche modo, che la crescita prima o poi ci sarà, che il capitalismo tutto sommato ha già vissuto altri momenti di difficoltà, e che serve solo attendere il momento migliore. Il problema è che questo momento migliore non ci sarà. Perché l’illusione di poter crescere all’infinito, vivendo però in un mondo dalle risorse limitate è destinata a scontrarsi ben presto con la realtà. Stiamo consumando il mondo, stiamo mangiando nel piatto dei nostri figli, viviamo nei pressi di una catastrofe e tutto quello che sanno dire questi tecnocrati miopi è che la Grecia deve rispettare i patti. Quei patti che hanno distrutto l’economia di intere nazioni, che hanno provocato la paralisi del mondo produttivo, quei patti per cui l’Europa è diventato il luogo economico e mercantile per eccellenza.

Questo sistema è insostenibile e in Grecia – ma lo stesso vale per il resto d’Europa, che continua soltanto a mettere la testa sotto la sabbia nascondendo la realtà – i nodi sono venuti al pettine e l’inganno della Troika si è palesato in tutto il suo tragico splendore.

A questo punto, si tratta di capire quale orizzonte prefigurarsi e scegliere, che tipo di uomini vogliamo diventare, quale società pensiamo di organizzare in futuro, quali rapporti comunitari instaurare. E per questo la Grecia, che è arrivata al punto di rottura, può forse rappresentare un laboratorio politico e soprattutto una straordinaria possibilità realmente democratica di ripensare dalle fondamenta una cultura. Perché è chiaro che l’aspetto fondamentale di questa complessa vicenda è soprattutto culturale. Tra le pieghe della crisi economica si palesano in realtà visioni antropologiche e politiche profondamente diverse.

Il punto è che la società tecnologico-capitalista è ammalata di uniformità. Tende a omologare tutto e non tollera che qualcuno possa vivere senza sgomitare, e magari più felice, fuori dal diabolico ring del mercato.

L’ideologia della Troika e la cultura tecnocratica hanno illuso gran parte degli europei di vivere nel migliore dei mondi possibili. Si tratta di capire, però, che questa pretesa è infondata, e che così come non tutti i cittadini di una nazione sono portati a vivere la stessa vita (si vedano, per esempio, le differenze italiane fra nord e sud) così non tutti i popoli sono vocati ad avere gli stessi obiettivi esistenziali. In altre parole, non tutti possiamo essere tedeschi con gli stessi standard di vita, le stesse aspirazioni, gli stessi desideri, le stesse strutture mentali, gli stessi ritmi quotidiani. C’è anche chi sarà vocato ad altri modi di vivere e, soprattutto, di convivere, magari facendo meno, magari seguendo più la creatività, magari preferendo vivere poveri e felici piuttosto che ricchi e angosciati, aprendo la propria anima più alla poesia che all’economia.

Con queste riflessioni non si intende affatto fare un’apologia del popolo greco. Il quale ha le sue colpe nell’aver accettato di sognare il sogno di altri, per lunghi anni. Si intende, però, sottolineare la portata culturale immensa della vicenda che oggi sembra svolgersi in Grecia ma che invece riguarda profondamente anche noi e qualsiasi popolo che abbia a cuore la propria felicità e non solamente il proprio effimero salvadanaio.

Pertanto, si può vivere in un mondo diverso da quello prospettato da Juncker e dalla Merkel? La risposta è chiaramente sì. Tuttavia, adesso bisogna solo aspettare per vedere se la Grecia è pronta ad illuminare di nuovo la cultura europea.

Alessandro Pertosa e Lucilio Santoni

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