Sotto-attraversamento alta velocità di Firenze, così si chiama il pezzo della nuova linea per i treni AV che dovrebbe attraversare Firenze. In realtà le frecce rosse, argento e bianche transitano già da Firenze senza avere alcun particolare problema se non i cinque, forse sette, minuti addizionali che comporta l’entrata e l’uscita dalla stazione di Santa Maria Novella, quando è questa ad essere utilizzata (sulla questione, ritorno sotto). Non è quindi chiara la ragione per cui si voglia realizzare un’enorme infrastruttura quale il sotto-attraversamento che richiede un’opera altamente invasiva come una doppia galleria di oltre 7 km ed una stazione sotterranea di 600.000 metri cubici.

Le grandi opere in Italia, nate all’ombra della Legge Obiettivo, hanno tre caratteristiche peculiari: inutilità, costi enormi, pericolosità. Il progetto fiorentino non fa eccezione:

   1. Inutile. I treni già passano sui binari di superficie senza problemi, ci sono 5 stazioni (Santa Maria Novella stazione di testa, Castello, Rifredi, Statuto, Campo Marte)  adatte a ricevere i treni AV tra cui si può scegliere la più adatta urbanisticamente e dal punto di vista della velocità del servizio.  Mentre potrebbe essere comprensibile la costruzione di una stazione “dedicata” a treni AV in una grandissima città dove ne arrivassero centinaia al giorno (ma nemmeno Parigi o Madrid hanno una stazione dedicata ai TGV o all’AVE), l’opera è del tutto balzana in una città relativamente piccola come Firenze.
   2. Costosa. Il progetto che vede ora l’avvio è stato vinto, per circa 700 milioni di €, da una cooperativa emiliana (Coopsette) che ha offerto un ribasso del 24% sul prezzo di riferimento. In città già tutti parlano di 1,5 miliardi di costo vero a fine opera; tecnici indipendenti, valutando l’approssimazione del progetto ed i troppi problemi irrisolti, pensano che occorreranno almeno 3 miliardi. Insomma, nella tradizione vergognosa della TAV e delle opere pubbliche italiane in genere, i contribuenti finiranno per pagare svariate volte il compenso pattuito.
   3. Dannosa. Il progetto è estremamente invasivo, creerà seri problemi nella fase di scavo delle gallerie con pericolo di danni a migliaia di edifici. Questi rischi sono stati tutti rigorosamente minimizzati dai fautori dell’opera in sede di dibattito pubblico. Il manufatto avrà un imponente impatto sulla falda che scorre sotto Firenze con rischi molto seri per vaste zone della città. Sono a rischio oltre 40 edifici di interesse storico/artistico. Tutti i problemi che dovranno essere risolti e i danni provocati saranno ulteriore fonte di profitto per le imprese costruttrici. Da qui viene, infatti, il prezzo basso d’acquisizione a cui seguiranno aggiustamenti di costi in corso d’opera.

Questo è il quadro disperante di un’opera che è stata molto poco pubblicizzata in città, tante sono le criticità che la caratterizzano. Credo, infatti, che fuori da Firenze non se ne sia praticamente sentito parlare. Ragionevole, si fa per dire, visto che il consenso sull’utilità sociale di questa follia viene condiviso dalla destra e dalla sinistra politica.

Il professor Marco Ponti, economista del Politecnico di Milano, ricorda come, a suo tempo, siano state scartate tutte le soluzioni semplici e poco costose per il passaggio dei treni AV a Firenze, privilegiando il progetto che avrebbe dato il ritorno migliore, in termini monetari, per le imprese costruttrici. Dev’essere l’effetto del “keynesismo de noantri” che caratterizza la cultura economica delle classi dirigenti italiane, siano esse di destra o di sinistra (il folle progetto, come credo sia facile immaginarsi, è prodotto rigorosamente bi-partisan). Insomma, è stato scelto il progetto più socio-ambientalmente impattante, più costoso e più lento per i treni.

Ma tutto questo non ci dovrebbe stupire: quanto avviene a Firenze con l’attraversamento per la TAV è nel corso naturale della vocazione assai poco competitiva delle grandi imprese italiane le quali, da sempre, prosperano appoggiandosi ai lavori pubblici ed alle commesse/concessioni/protezioni statali, finanziate dai contribuenti ovviamente. Lo statalismo profondo dell’economia italiana consiste proprio in questo: per non correre rischi, né di mercato né di impresa, le grandi aziende italiane contano su appalti pubblici sicuri e remunerativi. Con l’introduzione del modello contrattuale di TAV Spa, perfezionato con la Legge Obiettivo, si è avuto un ulteriore passo in questo processo d’involuzione.

Si è quasi tentati di dire che ci troviamo davanti ad un classico esempio di stato strumento della grande impresa, italiana ovviamente. Le stesse grandi opere non vedono la luce in un ambito di progettazione pubblica dei trasporti secondo criteri di pubblica utilità, ma da accordi fatti tra imprese stesse. Le istituzioni politiche diventano solo le garanti della realizzazione dell’opera, ruolo che svolgono utilizzando la leva fiscale per generare il flusso di risorse economiche, sempre sovradimensionato, necessarie ad assicurare la profittabilità desiderata dalle imprese.

Per queste ragioni il caso TAV è emblematico: un razionale potenziamento del sistema ferroviario avrebbe garantito il passaggio di una quota di merci dalla strada alla rotaia, avrebbe reso meno urgente la realizzazione di nuove autostrade, avrebbe reso meno folta la flotta di tir che attraversano tutti i giorni l’Italia. Invece FIAT, che assieme alla Lega delle Cooperative è stata la grande sponsor del progetto, ha privilegiato la costruzione di linee che fossero utilizzabili solo da particolari treni, garantendosi così la costruzione di nuove autostrade (Impregilo allora, era controllata FIAT), di ulteriori mezzi stradali (Iveco) oltre che di treni (FIAT Ferroviaria, ora venduta ai francesi). Un esempio magistrale di “stato capitalista della multinazionale, italica”.

A tutto questo va aggiunto il sistema di norme contrattuali che si sono attivate in questa occasione: ogni controllo, dalla progettazione al monitoraggio ambientale, è delegato al general contractor, il realizzatore dell’opera. Addirittura il controllo della congruità della spesa è affidato al costruttore. Un esperto di opere pubbliche, l’ingegner Ivan Cicconi, ha definito questo modello contrattuale “privatizzazione della spesa pubblica”. Difficile dargli torto.

La crisi economica e politica che attanaglia l’Italia ha radici profonde. Una di queste diventa palese nell’anomalia delle grandi opere, le quali sembrano svolgere l’unica funzione d’incanalare risorse pubbliche verso una nuova oligarchia parassitica, costituita dalle “grandi imprese” italiane interne al sistema politico/finanziario che ruota attorno alla casta. L’operazione “Alitalia italiana” acquista, da questo punto di vista, una valenza ed un significato alquanto chiari.Il sotto-attraversamento TAV di Firenze è un pezzetto di questo mostro che divora l’Italia. Qualche pazzo fiorentino ancora cerca di fermare questo scempio che avanza.

 

 

Fonte:

Noisefromamerika

 

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