Fermare le ruspe, o l’Italia sarà perduta. Parola d’ordine: stop al consumo del territorio. A lanciare l’allarme è Carlo Petrini, fondatore di “Slow Food”: se il cemento divorerà altra terra, avremo un paese devastato e senza più cibo. «Se la terra agricola sparisce, il disastro è alimentare, idrogeologico, ambientale, paesaggistico. E’ come indebitarsi a vita e indebitare i propri figli e nipoti per comprarsi un televisore più grosso: niente di più stupido». Petrini lancia una proposta di riforma: una moratoria nazionale contro il consumo di suolo libero. Un appello che parta dai cittadini, con una raccolta di firme, e sia poi raccolto dal governo. Ora o mai più: perché l’Italia sta già soffocando nel cemento e domani sarà troppo tardi.

Dalle colonne di “Repubblica”, il quotidiani che Petrini ha scelto per lanciare il suo Sos, il presidente di “Slow Food” fornisce cifre spaventose sulla Carlo Petrinidevastazione inflitta al territorio. Se in appena 15 anni, dal 1990 al 2005, asfalto e cemento hanno fatto sparire 3 milioni di ettari liberi, una superficie pari a quelle di Lazio e Abruzzo messe insieme, negli ultimi anni la situazione è ulteriormente peggiorata: la terra della Liguria è stata dimezzata mentre ogni giorno, in Lombardia, si cementifica un’area pari a sei volte piazza Duomo a Milano. La catastrofe, nata nel 1950 con la sparizione – da allora – del 40% di territorio libero, non fa che aggravarsi: in Emilia Romagna dal 1976 al 2003 ogni giorno si è consumato suolo per una quantità di 12 volte piazza Maggiore a Bologna, mentre in Friuli l’avanzata quotidiana del cemento è pari a tre volte piazza Unità d’Italia a Trieste.

Tutti terreni sottratti all’agricoltura: dal 1990 al 2005 si sono superati i due milioni di ettari di terreni agricoli morti o coperti di cemento, nonostante il paesaggio italiano (caso unico in Europa) sia un diritto garantito dall’articolo 9 della Costituzione. Petrini punta il dito anche contro gli impianti fotovoltaici disposti a terra – quelli “mangia-agricoltura” – che continuano a spuntare come funghi, alla stregua dei centri commerciali e delle shopville, di aree residenziali in campagna, di nuovi quartieri alluvione Venetoperiferici, di un abusivismo che «ha devastato interi territori del nostro Meridione anche grazie a condoni edilizi scellerati».

Ma il disastro non riguarda certo solo il Sud: il Veneto, che dal 1950 ha fatto crescere la sua superficie urbanizzata del 324% mentre la sua popolazione è cresciuta nello stesso periodo solo per il 32%, secondo Petrini non ha imparato nulla dall’alluvione che l’ha colpito a fine novembre 2010. «Un paio di settimane dopo, mentre ancora si faceva la conta dei danni, il Consiglio Regionale ha approvato una leggina che consente di ampliare gli edifici su terreni agricoli fino a 800 metri cubi, l’equivalente di tre alloggi di 90 metri quadri».

Guardandoci attorno, dice Petrini, ci sentiamo assediati: il cemento avanza, la terra fa gola a potentati edilizi che, nonostante siano sempre più oggetto d’importanti inchieste giornalistiche e in alcuni casi anche giudiziarie, non mollano l’osso e sembrano passare indenni qualsiasi ostacolo, in un’indifferenza che non si sa più se sia colpevole, disinformata o semplicemente frutto di un’impotenza sconsolata. «Del resto, costruire fa crescere il Pil, ma a che prezzo. Fa davvero male: l’Italia è piena di ferite violente e i cittadini finiscono con il diventare complici se non s’impegnano fotovoltaico a terranel dire no quotidianamente, nel piccolo, a livello locale. Questa è una battaglia di tutti, nessuno escluso».

Ora, continua il leader di “Slow Food”, si sono aggiunte le multinazionali che producono impianti per energia rinnovabile, insieme a imprenditori che non hanno mai avuto a cuore l’ambiente e, fiutato il profitto, si sono messi dall’oggi al domani a impiantare fotovoltaico su terra fertile, ovunque capita: «Sono riusciti a trasformare la speranza, il sogno di un’energia pulita anche da noi nell’ennesimo modo di lucrare a danno della Terra». Basta dare un’occhiata alla delicatissima situazione in Puglia: i pannelli fotovoltaici a terra inaridiscono completamente i suoli in poco tempo provocando il “soil sealing” cioè l’impermeabilizzazione dei terreni, ed è «profondamente stupido» dedicargli immense distese di terreni coltivabili in nome di lauti incentivi, «quando si potrebbero installare su capannoni, aree industriali dismesse o in funzione, cave abbandonate, lungo le autostrade».

La Germania, che è avanti anni luce rispetto al resto d’Europa sulle energie rinnovabili, non concede incentivi a chi mette a terra pannelli fotovoltaici. Dell’eolico selvaggio, «sovradimensionato, sovente in odore di mafia e sprecone», cominciano ormai a parlare trasmissioni come “Report”: «Non passa settimana senza che se ne parli su qualche testata, soprattutto locale, perché qualche comitato di cittadini insorge». Basta spulciare su Internet il sito del movimento “Stop al Consumo del Territorio”, tra i più attivi, e subito salta agli occhi l’elenco delle comunità locali che si stanno ribellando, in ruspaogni Regione, per i più disparati motivi. «L’obiettivo del 20% di energie rinnovabili entro il 2020 si può raggiungere benissimo senza fare danni».

Il problema poi s’incastra alla perfezione con la crisi generale che sta vivendo l’agricoltura da un po’ di anni, spiega Petrini, visto che tutti i suoi settori sono in sofferenza, come confermano i più recenti dati dell’Eurostat: i redditi pro-capite degli agricoltori nel 2010 sono diminuiti del 3,3% e sono del 17% circa inferiori a quelli di cinque anni fa. «Così è più facile convincere gli agricoltori demotivati a cedere le armi, e i propri terreni, per speculazioni edilizie o legate alle energie rinnovabili». Per Petrini, «siamo arrivati a un punto di non ritorno». Per questo, serve una moratoria nazionale per fermare le ruspe. Ma attenzione: «Non un blocco totale dell’edilizia, che può benissimo orientarsi verso edifici vuoti o abbandonati, nella ristrutturazione di edifici lasciati a se stessi o nella demolizione dei fatiscenti per far posto a nuovi».

Secondo Petrini, fra l’altro ideatore della kermesse “Terra Madre” sui contadini del mondo, «serve qualcosa di forte, una raccolta di firme, una ferma dichiarazione che arresti per sempre la scomparsa di suoli agricoli nel nostro Paese, le costruzioni brutte e inutili, i centri commerciali che ci sviliscono come uomini e donne, riducendoci a consumatori-automi, soli e abbruttiti». Una moratoria che poi, «se si uscirà dalla tremenda situazione politica attuale», potrebbe essere adottata congiuntamente dai ministeri stop consumo territoriodell’Agricoltura, dell’Ambiente e dei Beni Culturali, «perché il nostro territorio è il primo bene culturale di questa Nazione che sta per compiere 150 anni».

Alla campagna di mobilitazione, Petrini chiama all’appello la sua “Slow Food” ma anche “Stop al Consumo del Territorio”, il Fondo Ambientale Italiano, le associazioni ambientaliste, quelle di categoria degli agricoltori e le miriadi di comitati civici ormai sparsi ovunque. Obiettivo: «Amplificare l’urlo di milioni d’italiani che sono stufi di vedersi distruggere paesaggi e luoghi del cuore, un’ulteriore forma di vessazione, tra le tante che subiamo, anche su ciò che è gratis e non ha prezzo: la bellezza». Guardatevi attorno, conclude Petrini: la bellezza è «in ogni luogo, soprattutto nelle cose piccole che stanno sotto i nostri occhi. È una forma di poesia disponibile ovunque, che non dobbiamo farci togliere, che merita devozione e rispetto, che ci salva l’anima tutti i giorni»

(info: www.repubblica.it).

Fonte: Libre

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