Pronti, via: inizia l’estate e con essa la lenta agonia delle 27 aree marine protette dello Stivale. Grattando il fondo del barile, restano pochi spiccioli per le attività di salvaguardia dell’ecosistema marino e per la valorizzazione turistica di territori dalla bellezza unica al mondo. In tal senso è preciso e documentato l’allarme di Antonino Miccio, direttore della Riserva Marina di Punta Campanella, che incastona alcuni dei gioielli più preziosi delle coste tra la penisola sorrentina e Positano in Campania, nonché presidente dell’Aidap (associazione italiana direttori e funzionari delle aree protette).

Nel 1999 il governo D’Alema stanziò 36 miliardi delle vecchie lire. E le aree protette erano soltanto 15. Taglia, taglia, nel 2012, e con un considerevole ritardo, il governo Monti ha appena approntato per le attuali 27 riserve solo 3 milioni e 600mila euro. Una cifra pari allo 0,0002 del Pil. “Che paese è quello che oltre a pensare di svendere i suoi beni culturali non investe nel mare, la risorsa più strategica del nostro turismo?” Miccio non si dà pace. Paradossi all’italiana. Nazione che prima costruisce un sistema di parchi all’avanguardia e poi si diverte a distruggerlo. Anche perché al contrario delle aree protette terrestri, istituite con leggi dello Stato e terreno fertile per la lottizzazione, qui siamo di fronte a enti gestori leggeri e agili, meno permeabili alla politica politicante delle spartizioni e delle consulenze.

Solo che a furia di tagliare e smagrire, stanno per mancare fondi e risorse umane indispensabili alla sopravvivenza. Emanuele Mollica è il direttore della riserva marina Isole Ciclopi, in provincia di Catania, gestita da un consorzio tra gli enti locali e l’Università. “Ma sono un direttore che non dirige nessuno. Ai sei dipendenti dell’ente il contratto a progetto è scaduto”. Dal governo Monti risuona lo stesso verbo pronunciato in altri campi: autofinanziatevi. Trovate da soli il modo di andare avanti. Altrimenti – è il senso di una nota del ministero in corso di elaborazione – troveremo altri enti gestori. “Ma per avviare attività di promozione turistica che abbiano una ricaduta economica nelle casse dell’ente – ribatte Mollica – serve personale: per elaborare i piani di comunicazione, per spingerli, per tenere i contatti. E io sono rimasto solo con questo circolo vizioso. E’ una situazione drammatica”.

E quella riflessione sull’autofinanziamento dei parchi marini suona sinistra. Apre il campo all’ingresso di imprenditori privati. Ma profitto e tutela ambientale spesso vanno in conflitto. Senza dimenticare gli interessi delle mafie. Molte riserve marine ricadono in regioni dalla forte incidenza della criminalità organizzata, cui fa gola il business della pesca di frodo e dei datterai. Sull’oasi di Punta Campanella, per fare un esempio, si è allungata la mano dei clan della zona stabiese-vesuviana. I controlli spettano alle Capitanerie di porto, che lavorano giorno e notte per contrastare i reati marini. Ma senza il prezioso supporto finora garantito dalle attività di volontariato dell’ente gestore dell’area protetta. “Avevamo un gommone con cui insieme alle associazioni ambientaliste organizzavamo uscite diurne per spiegare ai diportisti i vincoli del Parco, dove potevano ancorare e dove invece non potevano per salvaguardare la posidonia, e uscite notturne per denunciare i pescatori di frodo – ricorda Miccio – ma l’ho dovuto permutare e ora non abbiamo neanche un mezzo. I continui tagli, oltre a sacrificare le attività di ricerca e divulgazione scientifica, stanno consegnando il mare alla criminalità organizzata”.

Alle Isole Ciclopi proveranno a tirare avanti attraverso la gestione di un albergo confiscato alla mafia. Ci hanno ricavato gli uffici dell’ente, ma sono rimaste otto camere per i clienti. “Ci concentreremo in questo campo perché in qualche modo dobbiamo trovare i soldi per il personale – conclude Mollica – cosa che faremo anche curando con maggiore attenzione la raccolta delle tasse per il rilascio dei permessi di nostra competenza: per ancorare, per pescare, per fare attività subacquee. E trascureremo le attività di educazione ambientale, che non producono ritorni economici”. Ma le riserve marine erano nate anche per questo.

Fonte: ilfattoquotidiano.it