La rivoluzione industriale verde dell’Africa potrebbe essere costruita con il bambù. E parte dell’Etiopia. Con la più vasta area di bambù sfruttabile commercialmente di tutta l’Africa orientale, il Paese sta guidando il lancio dell’industria di questa risorsa naturale considerata sostenibile, e dagli sbocchi commerciali potenzialmente enormi.

RISORSA SOSTENIBILE – Sono un milione di ettari in Etiopia le terre non ancora sfruttate ricoperte da foreste del vigoroso sempreverde – un terzo di tutto quello presente in Africa subsahariana (che corrisponde al 4% circa di tutte le foreste del continente). A differenza del legno di conifera, che impiega trent’anni a crescere, il bambù ne impiega solo tre: in alcuni climi, la pianta può arrivare ad allungarsi fino a un metro al giorno – anche se il ciclo delle piantagioni deve essere mantenuto sostenibile sul lungo termine. Inoltre, per la sua coltivazione non sono necessari pesticidi né erbicidi, ed è molto leggero da trasportare. Si tratta dunque di una risorsa facilmente rinnovabile e sostenibile dal punto di vista ambientale. Il bambù è un materiale presente nella vita quotidiana di un miliardo di persone al mondo, usato principalmente come materiale da costruzione, come combustibile e nell’artigianato. Il governo etiope è ora deciso a lanciare un’economia del bambù nel Paese – finora assente, almeno formalmente – e raddoppiare la quantità di terreno dedicato al bambù entro i prossimi cinque anni: l’Etiopia diverrebbe così l’avanguardia africana di un’industria che potrebbe aiutare persone e ambiente allo stesso tempo.

MERCATO RICCHISSIMO – «Se gestita in maniera corretta, questa risorsa altamente versatile può spronare la crescita di un mercato d’esportazione mondiale valutato a 2 miliardi di dollari nel 2011, ridurre la deforestazione e tagliare le emissioni di anidride carbonica», ha dichiarato al GuardianCoosje Hoogendoorn, direttore generale dell’International Network for Bamboo and Rattan (Inbar), organizzazione intergovernativa nata nel 1997 per aiutare governi, società e comunità locali a beneficiare dei potenziali del bambù come volano di crescita economica e nello stesso tempo strumento di sfruttamento sostenibile delle risorse naturali.

INVESTITORI – Gli investitori stranieri sono pronti. E il mercato europeo è maturo per accogliere il bambù, soprattutto nel settore della pavimentazione d’interni ed esterni. Una partnership pubblico-privata tra operatori etiopi e stranieri, sostenuta dalla Cooperazione tedesca allo sviluppo, investirà 10 milioni di euro nell’arco dei prossimi cinque anni per sviluppare un’industria manifatturiera locale ed esportare poi in Europa e Stati Uniti. Come sempre in questi casi, dove il potenziale per uno sviluppo forte è concreto, dipenderà dalla gestione se quest’ultimo sarà davvero sostenibile.

SFRUTTAMENTO DEL SUOLO – L’utilizzazione delle foreste di bambù rientra infatti nella delicata e drammatica questione dello sfruttamento del suolo – che anche nel caso delle canne può diventare insostenibile, come succede in alcuni Paesi asiatici – e potenzialmente del land grabbing. La crescente domanda globale di cibo e biocarburanti sprona la deforestazione selvaggia e le conseguenti emissioni che alimentano il cambiamento climatico. L’Unione europea «importa» 1.250.050 chilometri quadrati di terreno agricolo per i suoi fabbisogni.

LAND GRABBING – E alcuni Paesi ricchi e senza scrupoli acquistano e affittano a prezzi irrisori la terra di quelli poveri, che cedono il proprio suolo senza alcuna tutela ambientale e sociale in contropartita. Ma solo sfruttamento. L’Etiopia ha uno dei più alti tassi di deforestazione del continente, ma si sta impegnando a invertire la rotta: nell’ultima decade le foreste (che un tempo ricoprivano il 40% del Paese) sono passate dal tre al 7%. Ha inoltre proibito l’uso di legname per il carbone venduto al dettaglio come combustibile. I piccoli produttori locali, che per ora operano solo per un modesto mercato interno, ripongono le speranze nei nuovi piani governativi. E non solo loro.

Carola Traverso Saibante

Fonte: Corriere.it

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