Il mese di gennaio del 2013 non fece registrare niente di buono. Il 2 gennaio l’Acea comunicò che le immatricolazioni di automobili erano diminuite del 20 per cento rispetto all’anno precedente. Il 18 gennaio nel bollettino di Bankitalia si leggeva che la riduzione complessiva del Pil nel 2012 era stata del 2,4 per cento e che nel 2013 avrebbe fatto registrare un calo maggiore del -0,2 previsto in precedenza, arrivando al -1 per cento (a consuntivo risulterà di -1,9), ma le previsioni erano, e te pareva, rassicuranti: nel secondo semestre si sarebbe avviata una ripresa, che nel 2014 avrebbe portato un incremento dello 0,7 per cento. Ciò nonostante l’occupazione si sarebbe ridotta di un ulteriore 1 per cento nell’anno in corso e sarebbe rimasta stabile l’anno successivo. Neanche a dirlo, la disoccupazione era aumentata e avrebbe superato il 12 per cento nel 2014. Nel 2012 il rapporto tra il debito e il Pil era salito al 127 per cento, con un aumento di circa sei punti percentuali.

Secondo uno studio di Rete Imprese Italia pubblicato il 22 gennaio, il reddito disponibile pro capite degli italiani sarebbe ritornato nel 2013 ai livelli di 27 anni prima, scendendo da 19.515 euro del 2007, anno d’inizio della crisi, a 16.955 euro, contro i 17.337 euro del 2012. I consumi si sarebbero ridotti del 4,4 per cento rispetto all’anno precedente, retrocedendo ai livelli di quindici anni prima.

Il 15 febbraio la Bce comunicò che tra ottobre e dicembre del 2012 il Pil era diminuito dello 0,9 per cento. Si trattava del sesto trimestre consecutivo di riduzione, cosa che non si verificava da 20 anni. Dati negativi anche per Germania, Francia ed Eurozona dove il Pil era sceso dello 0,6% nel quarto trimestre, il peggior calo dal 2009. Tuttavia la Bce vedeva un recupero nella seconda parte dell’anno, ma lanciava l’allarme disoccupazione, soprattutto per i giovani. Mario Draghi commentò così: «I dati sono stati più negativi di quelli che ci aspettavamo. Ma la situazione è di crescente stabilizzazione dell’attività economica, e vediamo segnali di fiducia. Assistiamo alla discesa degli spread e della volatilità. Dai mercati stanno giungendo segnali di normalizzazione».

Il 16 febbraio, al G20 di Mosca il sottosegretario Grilli dichiarò: «Italia in recessione, non è una sorpresa» (aveva sempre detto che l’economia stava migliorando). Ma il governatore di Bankitalia Visco sostenne: «nella seconda metà del 2013 ci sono condizioni per un recupero nell’Eurozona», aggiungendo: «i risultati in Europa non sono dei più favorevoli, ma la situazione è più distesa sul piano finanziario. Ci sono miglioramenti».

A febbraio le vendite di automobili in Europa fecero registrare un calo dell’8,5 per cento sul mese di gennaio, il peggior dato dal 1990. Secondo l’Acea, la crisi sarebbe durata anche per tutto il 2013. E forse anche oltre.

Il 2012 fu l’anno nero dell’occupazione in Italia. Sommando i lavoratori che si trovavano nella cosiddetta area del disagio, cioè precari o part time involontari, a quelli della cosiddetta area della sofferenza occupazionale, vale a dire disoccupati, scoraggiati immediatamente disponibili a lavorare e persone in cassa integrazione, l’Istat stimava che le persone in gravi difficoltà con il lavoro fossero circa 9 milioni. La ripresa sarebbe iniziata alla fine del 2013 e non più la seconda metà dall’anno, come previsto a novembre. Il 22 febbraio l’UE confermava che Il Pil italiano sarebbe calato dell’1 per cento anziché dello 0,5 previsto a novembre e solo nel 2014 sarebbe aumentato dello 0,8 per cento. Nel resto dell’Eurozona si sarebbe fermato allo -0,3 per cento (la previsione a novembre era del +0,1 per cento), ma avrebbe avuto un incremento dell’1,4 per cento nel 2014. La disoccupazione in Italia sarebbe salita dal 10,6 per cento del 2012 all’11,6 per arrivare nel 2014 al 12 per cento. Nel resto dell’Eurozona avrebbe raggiunto il 12,2 per cento nell’anno in corso e nel 2014 sarebbe restata al 12,1 per cento, contro le precedenti stime dell’11,8  e 11,7 per cento.

Il 24-25 febbraio si svolsero le elezioni politiche, che fecero registrare un risultato sorprendente per il Movimento 5 stelle, un crollo del centro-destra e, per via della legge elettorale, una maggioranza del PD alla Camera ma non al Senato, determinando una situazione di stallo.

A marzo le previsioni dell’Istat indicarono una riduzione il Pil dell’1 per cento nel 2013 (a consuntivo sarà dell’1,9) e confermarono il -2,4 per cento dell’anno scorso. Il sottosegretario Grilli di fronte all’evidenza dei fatti commentò: «I dati non mi sorprendono», ma aggiunse il solito refrain: «Mi sembra che tutti convergano sul fatto che la seconda metà del 2013 sarà in positivo».

Nel 2012 i licenziamenti in Italia furono più di un milione. Il potere d’acquisto delle famiglie  diminuì del 4,8 per cento. Per affrontare questa situazione di sfacelo, l’11 aprile il segretario generale della CISL, Raffaele Bonanni, propose in un’intervista alla radio questa soluzione surreale: «Dobbiamo fare qualcosa di simbolico molto forte noi (sindacati) e loro (industriali)».

Il 16 aprile il Fondo monetario internazionale previde che nel 2013 il Pil italiano sarebbe diminuito dell’1,5, anziché dell’1 per cento, come previsto dall’Istat; a consuntivo la diminuzione sarebbe stata dell’1,9. Ma previde anche che sarebbe tornato a crescere nel 2014, con un incremento dello 0,5 (a settembre 2014 le previsioni sono di una diminuzione del -0,4, vedremo il consuntivo). Tuttavia, nonostante le difficoltà, la ripresa poteva anche arrivare nella seconda metà dell’anno.

Il 20 aprile Giorgio Napolitano venne rieletto presidente della Repubblica.

Il 23 aprile in un’audizione al Senato il presidente dell’Istat, Enrico Giovannini (futuro ministro dell’imminente governo Letta), affermò che cinque anni di crisi avevano radicalmente cambiato i consumi degli italiani: più di sei famiglie su dieci facevano stabilmente la spesa al discount, erano state quasi eliminate le spese per visite mediche, analisi cliniche e radiografie, restava quella incomprimibile per i medicinali. Le vendite al dettaglio a febbraio erano scese del 4,8 per cento su base annua (-4 per cento per i prodotti alimentari, -5,3 per cento per i prodotti non alimentari). Era l’ottava flessione consecutiva, la più forte da aprile 2012.

Il 24 aprile il presidente della repubblica Giorgio Napolitano affidò l’incarico di formare il governo a Enrico Letta.

Il 26 aprile Moody’s rivide al ribasso le stime di crescita del Pil italiano, prevedendo una riduzione dell’1,8 per cento rispetto all’1 per cento precedentemente stimato (fuochino, fuoco).  La crescita sarebbe tornata solo nel 2014, con un modesto incremento del Pil dello 0,2 per cento (di nuovo acqua, acqua). Nonostante tutto l’ex primo ministro Monti continuava a ripetere d’aver salvato l’Italia e che senza di lui la situazione sarebbe stata peggiore.

 Maurizio Pallante

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *