Gli incontri in libreria hanno sempre un qualcosa di suggestivo, il solo trovarsi tra gli scaffali e vedere libri e ancora libri ovunque dovrebbe farci sentire meglio. Quando poi il tutto si svolge in una piccola libreria, di quelle che quasi non esistono più, con un gruppo forse lontano, per i suoi numeri, dai chiassosi incontri nei grandi store, dove la maggior parte della gente è li solo per curiosare e vedere da vicino qualcuno famoso, che forse neanche conoscevano fino a cinque minuti prima, ma con persone realmente interessate alle parole dell’ospite in questione, si è sicuri di essere davvero nel posto giusto al momento giusto.

La prima serata di “Piccoli incontri in libreria” si è tenuta giovedì 5 marzo, presso la Libreria Campus di Bari, e tra decrescita felice, Pasolini e ambientalismo, l’incontro è stato ricco di interessanti spunti.

Moderato da Patty L’Abbate, rappresentante del Circolo per la Decrescita Felice di Bari, la serata ha visto l’intervento di Antonio Aprile, che ha parlato di come Pier Paolo Pasolini sia stato un precursore del pensiero di decrescita felice, seppur additato al tempo di conservatorismo, e di Massimiliano Boccone, che insieme agli altri volontari di GreenPeace di Bari, ha spiegato ai presenti la vera funzione del movimento, il significato delle loro proteste, e l’importanza delle risorse rinnovabili.

Cosa è però davvero la Decrescita Felice? Non fatevi ingannare dal termine “decrescita”, nonostante stiamo parlando di lavoro, economia e società, il termine non assume connotazione negativa, ma è una giusta critica intelligente a ciò che non serve, in ognuno di questi campi, una spinta a una produzione realmente conforme al fabbisogno della popolazione, una spinta al rallentamento del consumismo che sta rendendo il nostro pianeta povero di risorse naturali necessarie, e le nostre menti spesso povere di contenuti, annebbiate da media e congegni che fanno quasi tutto al posto nostro. Un invito anche a creare con le proprie mani ciò che è possibile davvero fare da noi stessi, e un individuare stili di vita alternativi, opposti non al progresso ma al suo uso sbagliato.

Proprio in questo quadro rientra Pasolini, voce discordante con quelle del suo tempo, e sempre impegnato, oltre che nel suo scrivere per puro scopo narrativo, anche nel dar voce a situazioni sociali e non solo che spesso non avevano voce. Una sorta di profeta italiano del ‘900, capace di dire ciò che gli altri non vogliono dire, un precursore della decrescita felice, forse proprio perché, nel suo ruolo profetico, sapeva a che problemi sarebbe andato incontro il mondo, e soprattutto l’Italia, sempre più lenta rispetto ad altri paesi nell’agire in situazioni che riguardano la natura e le risorse.

Illuminato dal mondo contadino che aveva visto da bambino, lo scrittore viene a volte visto ingiustamente come un conservatore, non capendo che Pasolini non era contrario al progresso, ma allo sviluppo, specie quello di quei tempi nel nostro paese, e non negava che il tempo e le nuove scoperte portassero miglioramenti, ma che tutto ciò che portassero fosse positivo, avvertiva la cecità degli altri, sicuri che tutto sarebbe andato meglio, nonostante i danni collaterali dello sviluppo.

Era il 1° febbraio 1975, quando Pier Paolo Pasolini pubblicò un articolo sul Corriere della Sera, diventato poi noto come “L’ articolo delle lucciole”, in cui parlava, attraverso la seppur concreta e drammatica situazione della scomparsa di questi animali nelle nostre città, di come seppur i più illustri studiosi, scrittori e filosofi dell’epoca stessero cadendo nell’errore di non osservare più davvero il mondo intorno ad essi, cadendo in un assopimento della nuova borghesia.

La situazione delle lucciole, dell’inquinamento, e dei primi veri danni al pianeta per causa del progresso, però non aveva spazio in Italia, dove provvedimenti seri per fabbriche e pesticidi vennero presi solo molti anni dopo.

In America però già nel 1962 Rachel Carson aveva illustrato i danni dell’agricoltura intensiva nel suo libro inchiesta “Primavera silenziosa”, diventato poi manifesto antesignano del movimento ambientalista.

Green Peace ci riporta poi ai nostri giorni, in cui le risorse energetiche iniziano a scarseggiare, la legislazione, seppur più presente, ha ancora tanto da decidere e migliorare, e dove l’informazione è sempre distorta, poco fruibile, e quasi assente, su temi che dovrebbero riguardarci da vicino. Perché noi siamo ospiti del nostro pianeta, e siamo solo una parte dei suoi abitanti. Il cittadino si sente quasi inerme, perché la sua coscienza civile lo spinge a delegare agli altri quello che potrebbe anche lui fare nel suo piccolo, e “ambientalista” è diventata una categoria, quando invece ognuno di noi dovrebbe interessarsi del verde della sua città, delle specie in estinzione, dell’aria che respira ogni giorno più inquinata. Per questo i volontari di GreenPeace sono a volte costretti a gesti mediaticamente estremi per far sentire la propria voce dimenticata da giornali e tv.

Quindi il cittadino ha veramente saputo prendere il meglio del progresso o è stato vittima dello sviluppo? Mi chiedo quindi se il problema non sia il progresso in se, ma l’uso che se ne fa.

Mi chiedo perché la gente si preoccupi più di una macchia su un vestito che di una specie in estinzione, perché servano concerti pop per salvare foreste e attirare l’attenzione del pubblico, mi chiedo perché si parli in piccolo di questi temi invece di urlarli a gran voce.

Esco però dalla libreria soddisfatto, perché anche a Bari qualcosa si sta muovendo, e lo leggo negli occhi dei ragazzi e degli adulti presenti all’incontro, e per un attimo metto da parte le mie domande, e penso fiducioso al futuro.

Gabriele Del Buono

Fonte: Nelmese.it

One thought on “MDF BARI. DALLA DECRESCITA FELICE A PASOLINI, UN VIAGGIO IN UNA ITALIA AMBIENTALISTA”

  1. «Io sono un uomo antico, che ha letto i classici, che ha raccolto l’uva nella vigna, che ha contemplato il sorgere e il calare del sole sui campi, tra i vecchi, fedeli nitriti, tra i santi belati; che è poi vissuto in piccole città dalla stupenda forma inespressa dalle età artigianali, in cui anche un casolare o un muricciolo sono opere d’arte, e bastano un fiumicello o una collina per dividere due stili e creare due mondi. (Non so quindi cosa farmene di un mondo unificato dal neocapitalismo, ossia da un internazionalismo creato, con la violenza, dalla necessità della produzione e del consumo)»

    “Quasi un testamento”, una serie di riflessioni rilasciate da Pasolini al giornalista inglese Peter Dragadze e pubblicate postume (“Gente”, 17 novembre 1975)

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