Dovremmo cercare di ricucire i rapporti con il territorio, inteso come l’intorno chilometrico in cui abitiamo. Sappiamo come si chiamano le persone che abitano intorno a noi? Sappiamo che magari sono brave in qualcosa in cui non riusciamo e ci potrebbero aiutare, come ad esempio noi potremmo aiutare loro in qualcosa in cui riusciamo bene, il tutto in un rapporto di COOPERAZIONE. Sono molte le risorse economiche che potremmo risparmiare, molte le relazioni sociali positive che potremmo instaurare, molto il tempo che potremmo “perdere senza paura di doverlo perdere”. Perché semplicemente il denaro avrebbe un altro valore, certamente minore rispetto a quello che oggi vogliamo dargli, visti i rapporti di comoda dipendenza in cui ci troviamo.

Dobbiamo fare delle nostre città dei luoghi che non siano legati soltanto all’arrivo di merci da oltre oceano, o dalla Lisbona-Kiev, e restituiscano poi soltanto grandi quantità di rifiuti. Questo elimina, (è successo ormai da tempo) la produzione locale, l’artigianato, che oggi avrebbe gli strumenti anche tecnologici di rivivere un nuovo Rinascimento. Esistono vari progetti che dimostrano come la riattivazione di circuiti sociali e comunitari di cooperazione territorialmente collocati (vedi le proposte di Rob Hopkins, Alberto Magnaghi e Dipak R. Pant) possono portare benefici non solo dal punto di vista ambientale, ma anche da quello delle modalità di vita delle comunità coinvolte, del benessere delle persone che vi prendono parte.

Siamo abituati a pensare che altra via rispetto all’accumulo di denaro non esista, non ci sia un altro percorso in grado di permetterci di vivere serenamente soddisfacendo tutti i nostri bisogni reali e rinnegando quelli superflui. Questo limite nel nostro pensiero ci impedisce, come un paraocchi per un cavallo, di scardinare il sistema economico-finanziario che poi è quello che ci governa. In esso la regola è che tutto ruota attorno al suo possesso, alla possibilità di ottenere beni e servizi esclusivamente mediante lo scambio economico.

La socialità cooperativa è un concetto ormai nullo nelle nostre menti. Il baratto è un elemento dimenticato, l’autoproduzione non è nemmeno contemplata perché nel corso del tempo ci siamo privati del sapere tradizionale che permetteva di fare le cose da se. C’erano meno risorse e merci in termini assoluti, c’erano meno comfort, c’era ciò che serviva a vivere in socialità, e c’era la capacità di provvedere a se stessi senza dover avere bisogno della moneta sonante nel portafoglio in ogni istante. Oggi nessuno auspicherebbe di ritornare a quelle condizioni, anche se sempre più spesso risuonano dalle bocche degli anziani le parole: “si stava meglio quando si stava peggio!”. Nel contesto attuale, conquistati gli agi e i diritti di cui erano privi i nostri avi, perché non potremmo rinunciare al superfluo? Ricalibrare la nostra vita in linea con le possibilità del pianeta come ben descritto dal modello dell’Impronta Ecologica concepita da Mathis Wackernagel e William E. Rees? Avviarci a piccoli passi verso un percorso che ci riappropri delle nostre capacità del fare, delle nostre capacità di vivere il territorio che abitiamo al pieno delle possibilità; valorizzandolo e facendosi valorizzare dai circoli virtuosi della cooperazione e della riappropriazione di comunitaria dei mezzi e delle conoscenze per la produzione e per l’acculturazione libera.

Esistono realtà in cui sta accadendo, le persone in questi contesti stanno ricominciando a fare le persone, magari si sono riunite in piccole comunità, in libere scuole, tutti provvedono ai bisogni grazie alle loro abilità, conoscenze, mezzi, il resto viene scambiato, barattato con l’esterno. Questa non è arretratezza, ma è la presa di coscienza del genere umano del futuro, il quale decide di non obbedire più pedissequamente al Dio denaro, alla Dea pubblicità, (fondamentale mezzo, assieme alla moda, per poter sviluppare l’obsolescenza percepita dei beni), e alla reiterazione della produzione per il consumo senza scopo vero e utile. I beni, dovendo essere consumati sempre più e sempre più in fretta obbligano a lavorare sotto salario per procurarsi il denaro per comprarli, a correre ogni giorno di più per dare qualcosa in aggiunta a noi e ai nostri figli, facendoci scordare che magari quel qualcosa in più di cui i piccoli hanno bisogno siamo noi, la nostra presenza, il nostro ascolto e la nostra autorevolezza genitoriale, ovvero in fin dei conti il timone della loro vita, che se non costruito non potrà mai essere lasciato nelle loro mani.

Ricreiamo dunque un mondo a misura d’uomo dove non ci sia bisogno di una grande competitività. Non dobbiamo competere così tanto fra noi, la competitività non è un valore per la specie umana, siamo una specie sociale. Che cos’è dunque oggi il valore in un mondo così affollato, se non vogliamo farci la guerra? Ricordiamoci che competitività è una parola anticamera del conflitto. E’ la COOPERAZIONE il valore del futuro; dovremmo cooperare per usare bene le risorse che abbiamo, (per dirla alla Elinor Ostrom), per produrre la minima quantità di rifiuti, per essere pronti al futuro che comunque ci toglierà un serie di risorse su cui oggi abbiamo puntato nell’abbondanza e nella ricchezza apparente in cui viviamo.

Questo è un momento irripetibile nella storia dell’umanità, un meraviglioso momento di crisi e di svolta. Non ci sarà più il petrolio a prezzi stracciati come accadeva negli anni 50 e 60, e a ben vedere tra 100 anni al massimo il petrolio non ci sarà praticamente più, sarà antieconomico estrarlo al ritmo con cui lo stiamo usando oggi, (ritmo che tende ad aumentare).

Progettiamo questo tipo di Italia, ma prima ancora questo tipo di persona, di famiglia, di Comune, di Regione, che sia in grado di Vivere bene con obbiettivi meno superflui; (ricordiamoci che secondo il Global wealth report di Credit Suisse meno dell’1% della popolazione mondiale detiene il 38,5% della ricchezza globale). Ciò non significa medioevo, significa che invece dell’obbiettivo dell’oggetto costoso e di lusso tanto effimero quanto dissipatore di risorse, possiamo rivolgerci verso cose che ci fanno vivere bene e hanno dei costi ambientali ed economici irrisori. La cultura prima fra tutto. Oggi, anche grazie alla globalizzazione dell’informazione e delle relazioni sociali possiamo costruire un mondo estremamente qualitativo sul piano del livello di vita, sbarazzandoci del superfluo, passando se vogliamo a un “lusso leggero”, quello della cultura appunto, quello della gioia del fare da se, di creare, diventare artigiani della propria vita, del dedicarsi alla produzione di ciò di cui ci nutriamo, il lusso della convivialità tra persone che decidono di stare insieme e arricchirsi. Senza pensare che rinchiudersi in un guscio sempre più stretto, (ciò che ci porterebbe a fare l’individualismo crescente) possa essere la soluzione ai nostri problemi. La soluzione è il dialogo.

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