Salerno, zona consolidata (Quartiere Pastena) ipotesi di rigenerazione urbana.

 

Sono decenni che antropologi, sociologi, psicologi e filosofi stanno pubblicando studi e analisi per sostenere una tesi ovvia a qualunque essere umano: la felicità si trova nelle relazioni umane che possono soddisfare bisogni necessari e non i capricci. In tal senso, le tesi degli umanisti hanno influenzato numerosi urbanisti, che da sempre progettano e creano città fatte per gli esseri umani, ma è altrettanto vero che gli amministratori politici eteroguidati dagli interessi privati hanno preferito costruire città secondo lo spirito del tempo: il capitalismo. Risultato? Le città dell”urbanistica sono rimaste sogni chiusi nel cassetto, le città del capitalismo sono la realtà che osserviamo intorno a noi. Gli stili di vita sono condizionati sia dall”analfabetismo funzionale e di ritorno delle persone e sia dalla pubblicità, dalla televisione e da internet che possono alienare e incoraggiare i consumatori passivi piuttosto che favorire una partecipazione attiva alla cittadinanza e alla socializzazione. L”attività umana è il polo di attrazione dei luoghi urbani e l”opportunità di conoscere persone nuove risulta stimolante e rappresenta una miniera di esperienze da provare. Per favorire la specie umana è necessario cambiare le cattive consuetudini, contrastando da un lato l”alienazione e l”analfabetismo degli individui e dall”altro lato la pianificazione urbanistica piegata alla tecnica dello spirito del tempo che ha dominato il mondo occidentale: il neoliberismo. Dalle città sono sparite l”architettura e l”urbanistica e sono emersi i marchi delle archistar che stanno rappresentando i simboli dello spirito del tempo: i grattaceli delle banche, e i non luoghi (i centri commerciali). Negli ultimi trent”anni le Amministrazioni locali hanno favorito il circo mediatico e auto referenziale delle archistar per distruggere il genius loci. E” stato un gioco politico dettato da un concorso di interessi, da un lato l”ethos infantilistico dei Sindaci per dare attuazione a una comunicazione pubblicitaria narcisistica finalizzata al consenso personale. Una comunicazione ammantata dalle grandi firme che si sono prestate volentieri al gioco, poiché ben pagate con soldi pubblici, ecco il concorso di interessi. Mentre l”architettura veniva trasformata in mass medium (di fatto svuotandola di senso) e gli amministratori si auto referenziavano attraverso la pubblicità, accadeva che le città e i cittadini venivano abbandonati ai loro problemi innescati dalla fine dell”industrialismo, un fenomeno noto sia agli urbanisti e sia ai sociologi, ma ignorato da chi aveva la responsabilità di cambiare le pianificazioni per ridurre i danni sociali, economici ed ambientali che oggi assistiamo. Non conveniva affrontare il problema poiché la soluzione non si trova sul piano economico finanziario delle rendite, ma sul piano “anti economico” ma etico del bene comune. Coniugare capitalismo e socialismo è tecnicamente impossibile, favorire le rendite e aiutare le persone è un ossimoro, o si esce dalla crescita e si aiutano le persone (aumento dei costi) o si specula col rischio di far fallire il sistema, ed è quello che è successo poiché i bilanci dei comuni e l”industria delle costruzioni ha realizzato un”offerta di immobili superiore alle domanda. Per un consigliere comunale è stato difficile avere la consapevolezza di cosa sia successo (a meno non abbia le competenze e le conoscenze, o che ci sia un amico informato che glielo spieghi), nonostante il consigliere comunale abbia il ruolo politico di approvare i piani urbanistici, mentre il consigliere regionale, addirittura, ha il potere di fare leggi urbanistiche. In questo caso, la dissoluzione dei partiti cominciata negli anni ”90, ha giocato a favore degli speculatori poiché si sono trovati Commissioni urbanistiche ove non c”erano più gli esperti di partito (anni ”60 e ”80) pronti a rallentare il consumo del suolo, anzi si sono trovati consiglieri comunali ignoranti e isolati, pronti a schiacciare il pulsante, e così è stato, e così è oggi in buona parte dei Comuni d”Italia.

 

Mi è capitato di leggere vecchie delibere comunali, degli anni ”70, e devo ammettere che le politiche urbane occupavano molte energie mentali nel dibattito politico locale, e i soggetti che avevano un sensibilità ambientale erano sostenuti da competenze specifiche alte, e riuscivano a contenere i danni che il capitalismo delle rendite intendeva produrre nelle città attraverso una qualità delle argomentazioni da portare nell”arena politica. Oggi sappiamo che senza quel limite politico culturale la forza della finanza sta continuando a distruggere suolo e risorse finite.

 

La chiave per riprendersi la città è insita in un”evoluzione collettiva dei cittadini che dovrebbero cominciare a comprendere di diventare i committenti delle rigenerazioni urbane. Gli esperti che aiutavano la tutela del territorio e dell”ambiente possono aiutare direttamente i cittadini attivi e organizzati, non più all”interno delle istituzioni occupate da soggetti politici auto referenziali, ma promuovendo la rigenerazione e percorsi ove sperimentare la co-progettazione. Se i cittadini non si occupano della propria città, il mondo immobiliare ringrazia, e continuerà a rubare a norma legge i beni comuni già sottratti ai ceti meno abbienti, ormai espulsi dai centri urbani, e persino dalle ex periferie degli anni ”60 e ”70, oggi inglobate dalle città cresciute male.

 

Se esistono quartieri degradati, e cosiddetti dormitorio, è perché le Amministrazioni hanno preferito favorire le rendite e ignorare i bisogni delle persone. Per correggere tali errori è necessario che i cittadini conquistino una volontà politica per indicare la costruzione di servizi che stimolano le relazioni personali fra gli spazi pubblici e privati nelle proprie strade, e piazze. E” necessario rimettere in discussione la realtà fisica come la vediamo, e consentire ai progettisti di introdurre la bellezza in città e stimolare processi partecipativi e inclusivi affinché, finalmente, bambini, ragazzi, adulti e anziani possano trovare piena soddisfazione nel vivere in luoghi urbani adeguati ai bisogni reali della comunità. In un processo aperto e trasparente è facile far emergere il conflitto e risolverlo, spesso si tratta di egoismi infantili o i soliti interessi privati che si superano facilmente nei processi aperti. Questa semplicità è nota agli amministratori, e per questo motivo non amano dichiarare le proprie intenzioni e non usano coinvolgere i cittadini prima che il processo di pianificazioni cominci, pertanto si affidano a processi guidati da loro stessi ove gli interessi delle rendite sono tutelati in decisioni precostituite.

 

I processi dal basso sono rari, poiché è difficile trovare amministratori interessati alla partecipazione attiva dei cittadini. E” altrettanto raro trovare cittadini organizzati in cooperative per rigenerare il proprio quartiere, e in quel caso l”Amministrazione potrebbe essere messa “con le spalle al muro”, poiché difficilmente ostacolerebbe una trasformazione urbana finanziata dal basso. E” raro che una maggioranza politica dica di no a progetti che hanno ampi consensi popolari, poiché rischia di perdere il consenso politico che gli da mangiare. Eppure i vantaggi economici e sociali di un approccio dal basso sono altissimi, a partire da questioni pratiche come i prezzi delle trasformazioni urbanistiche, in quanto è possibile rigenerare a prezzo di costo. Eliminando la famigerata rendita immobiliare, che viene usata dalle classiche riqualificazioni urbanistiche per pagare i costi di costruzione dei servizi previsti attraverso le perequazioni adottate nei piani urbanistici comunali, è possibile abbassare i costi totali degli interventi. In quest”ottica le istituzioni pubbliche dovrebbero svolgere un ruolo di traino con finanziamenti diretti e premiare i progetti di qualità urbana che intervengono all”interno dei tessuti edilizi esistenti e rigenerano a prezzo di costo. In Italia ci sono almeno 26 città in contrazione che hanno bisogno di quest”approccio e tale visione propone una soluzione pratica per migliorare la qualità della vita con la conseguenza di avviare l”occupazione utile.

 

Esempi in tal senso sono più diffusi nel Nord d”Europa ove i processi di trasformazione non sono guidati solamente dal mondo immobiliare come accade in Italia, ma da una regia pubblica che favorisce i processi di responsabilizzazione collettiva dei cittadini, interessati a migliorare i propri quartieri per ovvie ragioni.

 

Da un lato c”è un problema culturale di noi abitanti, abituati al fatto che debba esserci sempre qualcuno dall”esterno, sia esso lo Stato, o addirittura il mondo immobiliare a prendersi cura della cosa pubblica ove noi viviamo. Nelle città, da decenni lo Stato non interviene più, ed ha lasciato campo libero agli speculatori privati felicissimi di trarre profitti secondo le logiche di mercato, e non a parlare dei problemi dei ceti meno abbienti.

 

Dall”altro lato c”è una questione morale istituzionale ove politici e pubblica amministrazione sono abituati a favorire gli interessi dei privati, siano essi banchieri e imprenditori, a danno dei ceti meno abbienti attraverso il sistema del credito ed il servizio del debito che consentono guadagni alle banche attraverso l”interesse, cioè senza lavorare. Esiste persino un sistema legale che nasconde la corruzione degli amministratori locali grazie alle giurisdizioni segrete (offshore e paradisi fiscali).

 

E” giunta l”ora che i cittadini si sveglino poiché esistono diversi progetti e approcci democratici che possano ricostruire le comunità, e ridurre lo spazio del mercato, avviando un futuro sostenibile per le generazioni presenti e per quelle che verranno.

 

Fonte: Peppe Carpentieri: https://peppecarpentieri.wordpress.com/2015/09/25/come-rinasce-la-vita-in-citta/

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