Perchè coltivare piante officinali? Per il reddito? Per la salute? Per l’ambiente in equilibrio?

Possiamo puntare il nostro cannocchiale lontano e dirigerci immediatamente verso la nostra meta, per quanto complesso possa essere il percorso, oppure aver presente l’arrivo, il luogo da raggiungere, ma farlo a piccoli passi. L’obiettivo nel percorso complessivo è sicuramente favorire l’equilibrio dell’ambiente, meta non irraggiungibile e, sopratutto compatibile con le esigenze, i bisogni reali dell’agricoltore, compresi quelli economici.

 

Se guardiamo alla situazione attuale dell’agricoltura e cominciamo a scavare oltre l’immagine bucolica comunicata dai mass media, possiamo dire che essa non se la passa proprio bene. L’agricoltore oggi, malgrado le agevolazioni, specie per i coltivatori diretti, (la categoria, non gli iscritti alla coldiretti, che è altra cosa) si trova al primo anello della catena distributiva chiamata GDO, ovvero grande distribuzione organizzata ed è quindi penalizzato poiché deve sostenere il peso di tutti i passaggi successivi della commercializzazione dei prodotti. Inoltre i costi di meccanizzazione e mantenimento del parco macchine/attrezzi, gli investimenti colturali in sementi, piantine, concimi, ammendanti, lavorazioni dei terreni, manutenzione dei fabbricati rurali e quant’altro incidono nei costi delle produzione finali.

In questo specifico momento un poco di respiro è dato dall’abbassamento del costo del petrolio, che ha toccato i minimi storici dagli ultimi sei anni. Quanto durerà?, ci si chiede.

Le estrazioni di petrolio sono sempre più costose e difficoltose, a causa della dell’aumento graduale della profondità di estrazione di questa fonte fossile di energia che tanto ha influito nel modellare le nostre società ed influenzare le produzioni e gli stili di vita. Dunque gli accordi politici per l’abbassamento del costo dell’oro nero possono tamponare e risolvere temporaneamente il processo dell’innalzamento dei costi delle fonti non rinnovabili, ma non certo eliminare il problema. Fonti e studi autorevoli, come la relazione su gli “ingannevoli scenari” legati al petrolio, tenuta da Mirko Rossi, di ASPO Italia la scorsa stagione al Simposio 2.0 a Verona, mostrano con tutta evidenza l’impotenza dell’uomo di fronte alle drastiche riduzioni di tali fonti energetiche.

Ma altri segnali, anche dal mondo dell’economia reale, fanno riflettere e portano a pensare che il nostro modello di società e di produzione sia sulla via della graduale ma inesorabile rottamazione. La Rockefeller Brothers Fund, la società che rappresenta una delle più grandi famiglie americane, da sempre dedicati alla estrazione dell’oro nero, i Rockfeller, perlappunto, ha cominciato nel 2015 a convertire gli investimenti delle fonti fossili, in energie rinnovabili ed ha dichiarato testualmente, per bocca del suo presidente Stephen Heintz, che: “l’operazione ha una dimensione non solo morale ma anche economica. Si prevedono problemi per le aziende che non difenderanno il pianeta dai cambiamenti climatici”.

Dunque dovremmo cominciare a pensare sin d’ora ad un modello di agricoltura che possa gradualmente seguire la transizione, segua il passaggio epocale, per non trovarsi poi in situazioni di difficoltà e cambiamenti troppo bruschi. Lavorare sulla resilienza, per dirla con un termine specifico. In realtà non solo l’agricoltura dovrebbe organizzare per tempo la transizione, ma anche gli altri settori, hanno l’opportunità di cogliere i segnali e seguire il processo, in modo da favorire azioni di rete, una nuova strutturazione dei mercati e dell’organizzazione del lavoro. In particolare l’economia ha la possibilità oggi di ristrutturarsi gradualmente e diverse azioni si stanno compiendo in questa direzione, ma di ciò parleremo nel prossimo articolo.

Convertire l’agricoltura, dunque: una bazzecola! Le ultime due generazioni sono state abituate a “vincere facile” con una agricoltura apparentemente risolutiva, con macchine sempre più potenti, attrezzi sempre più efficienti, optional, comfort e tecnologia impensabile in altri periodi. Una agricoltura muscolare e bellica alla quale i primi pionieri del biologico degli anni ’60 e ’70 hanno rinunciato per motivi ideali. Le sfide che dobbiamo affrontare, impongono una visione del tutto differente, guidata da questi testimoni di agricoltura “eroica”, oggi rivalutati e non più considerati personaggi strani, diversi, allieni fuori dal mondo, ma come depositari di un sapere antico e, allo stesso tempo, moderno e sperimentale. Sono i nuovi maestri, coloro che insegnano e segnano la direzione.

La sensibilità verso le tecniche agricole diverse dal convenzionale, dall’agricoltura estrattiva e di miniera, è cresciuta negli ultimi anni, e con essa nuove esperienze e ricerche, specie nel mondo sassone e in America Latina. Attualmente disponiamo di un’ ampio ventaglio di possibilità, che vanno dall’utilizzo di materiali locali per la rigenerazione degli ambienti ipogei e del soprassuolo, la rigenerazione dei terreni agricoli con linee di canalizzazione e raccolta delle acque che permettono la coltivazione anche su suoli semi desertici, la realizzazione in azienda di biofertilizzanti ed ammendanti naturali, la riproduzione di microrganismi indigeni utilissimi nel ciclo ecologico della vita nel terreno e quant’altro.

Tornando dunque all’assunto iniziale, nasce spontanea la domanda: cosa oggi può fare un contadino, un neo-contadino, un contadino di ritorno o chi, semplicemente, vuole tornare alla terra per un ambiente in equilibrio? Da tutto ciò egli ci guadagnerà o ci rimetterà? Dove potrà trovare gli strumenti?

La prima operazione consigliabile a chi si approccia da poco tempo alla terra, ma anche per chi volesse cambiare il proprio pensiero, è l’osservazione dell’ambiente circostante.

In secondo luogo si potrà decidere il destino della futura produzione agricola: per l’auto-produzione, per la sussistenza e vendita delle eccedenze, per prodotti pensati appositamente per vendita e parte per l’autoproduzione, per solo vendita diretta dei prodotti agricoli, per la vendita diretta mista all’ingrosso, o per la vendita alla grande distribuzione organizzata.

In terzo luogo sarà importante decidere, in base alle considerazioni precedenti, la tecnica colturale da adottare, se biologico di sostituzione monovarietale, se biologico con ambiente in equilibrio, se biodinamico, se convenzionale.

All’interno delle prime due categorie sarà così possibile decidere, in quarto luogo, quali tecniche colturali adottare, e, maggiormente in dettaglio, quali tipi di allevamento per gli impianti di piante arboree, quali sesti d’impianto e quant’altro. In sostanza, che azioni si vuole intraprendere e quale geometria agraria potrebbe avere l’azienda.

La quinta fase consiste, quindi nel cominciare le lavorazioni (o non lavorazioni) del suolo e tutto ciò che ne consegue, dai trapianti alla autoproduzione eventuale dei biofertilizzanti, alle eventuali pratiche di rotazione e quant’altro.

In tutto ciò che c’entrano le piante officinali? Esse giocano un ruolo fondamentale nella programmazione. Infatti, non solo possono fornire un reddito elevato nel medio periodo, se trasformate, ma, in diversi casi danno la possibilità di attuare tecniche di autodifesa da parassiti, muffe e altre tipologia di malattie. Infatti, producono l’olio essenziale proprio allo scopo di difendersi dai patogeni e noi possiamo utilizzare la proprietà per difendere, con irrorazione di idrolati derivati dalla distillazione, le altre colture. Inoltre sono solitamente molto rustiche, poichè lo stesso olio ha funzione di abbassamento del punto di congelamento cosi da poter resistere maggiormente agli inverni rigidi.

Una miniera di proprietà, dunque sia per la produzione e la vendita, ma anche per la difesa. Nella programmazione è importante tenere conto anche delle possibilità fornite dal nostro micro ambiente. In sostanza e per fare qualche esempio pratico, se in azienda ci fossero zone umide, si potrebbe pensare a colture di equiseto ed ad altre piante adatte a tali ambienti come la valeriana (medicinale più che difesa), o altre edibili, come il crescione; in caso di terreno calcareo o comunque non soggetto a ristagni idrici si potrebbe prevedere tutte quelle officinali che possono fornire tre o quattro tipologie di prodotto e quindi, accrescere il reddito. Le officinali dotate di queste specifiche caratteristiche sono quelle mediterranee come la lavanda, il rosmarino, il timo, l’elicriso, l’alloro, mentre altre, come melissa, menta e salvia, richiedono maggior quantitativo di acqua, specialmente nel primo anno d’impianto. Se l’azienda dispone di zone ricche di sostanza organica si può scegliere la coltivazione dell’ortica, pianta utilissima, non solo per le sue proprietà medicinali, ma anche per i preparati di difesa. Essa può essere consociata ad altre edibili: lo spinacio, ad esempio, in quanto condivide le stesse esigenze.

Nella nuova concezione di azienda agricola è il contadino a decidere, a scegliere in base all’ambiente circostante. Il concetto di dipendenza dall’esperto, sia esso l’agronomo, che il consorzio agrario è rovesciato. Nel nuovo rapporto i neocontadini possono rappresentare i compagni di viaggio, l’amico del cosidetto esperto, da ascoltare o con cui instaurare un dibattito. Tutto ciò sempre nella consapevolezza dei propri limiti, poichè non c’è nulla di più sgradevole e fuori luogo del neofita che vuole insegnare al contadino. Quando invece la modestia e, aggiungerei, la prudenza e sensibilità sono prevalenti, possiamo dire che il sapere torna ad essere nuovamente distribuito che contadini e neo-contadini ne tornano ad essere i depositari, come nell’antichità. Viene a cadere così il rapporto di dipendenza tipico del nostro tempo. Anzi, in taluni casi, come nella coltivazione delle officinali e altre colture poco presenti nella tradizione italiana, il contadino potrebbe avere maggiori conoscenze dello specialista e “vendere” o meglio, scambiare il proprio know-hown, passando dal ruolo di cliente a fornitore di sapere.

Dunque potranno le piante officinali salvare il mondo? No, di certo, ma la loro coltivazione, come anche la coltivazione competente e cosciente di innumerevoli altre colture, potranno salvare il portafogli del contadino e ridare dignità ad un mestiere al limite del tecnicismo, dell’industrializzazione e dello sfruttamento unidirezionale.

I nuovi filosofi, oggi, sono loro: contadini e neocontadini. Il vero cambiamento è li.

Francesco Badalini

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