La scenetta di una deputata vicina al premier che ha esibito il suo lungo scontrino per dimostrare quanto un bonus fiscale di 80 euro sia un aiuto concreto e possa permettere di fare la spesa per due settimane ha creato un grande dibattito, accuse e strumentalizzazioni.

Fermo restando che in questa sede non ci interessa fare un’analisi politica, la vicenda può essere uno spunto per analizzare i consumi in fatto di cibo degli italiani e il loro rapporto con il denaro.

Ripeto, non mi interessa comprendere per quanti giorni si possa mangiare con 80 euro (calcolo per cui bisognerebbe tenere conto del numero di bocche da sfamare, del numero di pasti consumati a casa, etc..) ma riflettere sulla quantità e qualità di ciò che mangiamo, aspetto di cui si parla solo in termini economici  (aumentano o diminuiscono i consumi, crisi della vendita al dettaglio, boom dei discount) dimenticandosi quanto l’alimentazione sia un aspetto fondamentale della vita e del benessere delle persone. Il come mangiamo, la qualità dei prodotti,  l’equilibrio nelle nostre diete sono aspetti totalmente secondari rispetto a un mero calcolo quantitativo nell’attuale main stream.

Nelle prospettiva della decrescita (che tiene conto sia delle sostenibilità che del benessere umano in questo caso inteso anche come salute) l’alimentazione è un fatto chiave. Una parte rilevante della nostra impronta ecologica è determinata da ciò di cui ci cibiamo; per fare un esempio, l’allevamento a livello mondiale produce emissioni di CO2 paragonabili a quelle prodotte dal comparto dei trasporti.

Cosa significa mangiare in maniera decrescente e sostenibile? Significa ridurre il consumo di carne a favore di piatti vegetariani e vegani, prediligere prodotti di filiera corta, seguire la stagionalità dei prodotti, ridurre i cibi imballati, precotti ed eccessivamente trasformati (come i surgelati che necessitano di un grande apporto energetico per la loro conservazione).

Personalmente, da qualche anno provo a seguire queste coordinate quando faccio la spesa e mi sono reso conto di quante cose nuove abbia imparato, di come il mio bidone dei rifiuti si riempa sempre più lentamente e quanti soldi risparmio ogni settimana.

Viviamo in Italia, un paese fortunato da un punto di vista climatico, dove abbiamo grandissima varietà di prodotti;  ci sono tanti piccoli produttori che riforniscono una rete di gruppi di acquisto solidali sempre più estesa; c’è una grande diffusione dei mercati rionali.

Proprio in un noto mercato di Torino dove sono solito fare la spesa mi sono fatto due calcoli su come potrebbe essere possibile spendere 80 euro in un’alimentazione sostenibile. Avrei potuto comprare, per fare un esempio, questo:

– 10 chili frutta e verdura fresca di stagione, € 15,00 (1,50€ al chilo è una media, i prodotti di stagione si trovano anche a meno, certo non gli asparagi! Dipende anche se si opta per la maggiore qualità degli agricoltori diretti in un’area del mercato, rispetto ai prodotti che vegono dai mercati generali dove si compra anche a 80 cent al chilo)

– un chilo ceci, € 3,00

– un chilo di farro, € 3,00

– un chilo lenticchie, € 3,00

– un chilo di formaggio tipo toma, € 8,00

– 18 uova, € 4,50 (6 uova di gallina allevate a terra dai contandini 1,50€ altrimenti si trovano a meno)

– mezzo chilo di ricotta, € 3,00 (l’ho trovata anche a 4 al chilo!)

– Pacco 5 chili di pasta del gas, € 7,00 (questo non si trova al mercato, ma a 1,40€ al chilo si compra qualcosa di buona qualità!)

– 2 chili di riso, € 6,00

– 8 chili di pane. € 16,00

– 5 litri di latte sfuso, € 5,00 (intendo il latte crudo dove ci si porta la bottiglia! Il consumo di latte è sempre più sconsigliato dai nutrizionisti e come tutti i prodotti di origine bovina è molto impattante, ma visto che non siamo talebani e possiamo berlo ogni tanto oltre a utilizzarlo per autoprodurci  rapidamente lo yogurt!)

– una saponetta di marsiglia            da 300gr € 1,00 (con l’aggiunta di un po’ di bicarbonato è sufficiente ad autoprodurre 5 litri di detersivo per lavatrice!)

– una bottiglia piccola di aceto di mele, € 1,00 (oltre a condire si può usare per tutta una serie di operazioni di pulizia della casa e al posto dell’inutile quanto inquinante ammorbidente! Certo che la pubblicità ci ricorda che dobbiamo igienizzare continuamente, e utilizzare un prodotto diverso per ogni superficie…)

– 3 chili tra patate e cipolle, € 2,50

– tre latte di pelati da 400gr, € 2,00

Non ho voglia di fare un calcolo su quante persone avrebbero mangiato con questa spesa e per quanti giorni. Sono perfettamente cosciente che mancano varie cose (altre devo dire sono abbondanti) e che probabilmente la mia città dove i mercati sono diffusissimi è molto più economica di altre e che questi prezzi (reali) possono essere diversi da quelli in altre aree italiane.  So anche di aver scartato qualche “vizio” che nessuno vuole proibire (caffè, vino, gelato…) e che non ho incluso la carne (il cui consumo, seppure dovrebbe essere ridotto, non deve essere visto come strettamente in contrasto con la decrescita). Questa lista affrettata vuole solo essere spunto di riflessione per cui orientando i nostri acquisti verso la piccola distribuzione o meglio i produttori diretti, acquistando in maniera sana e semplice, si possa mangiare in maniera nutriente con pochi soldi.

Il discorso degli 80 euro e le critiche – ancorché legittime – mosse contro la deputata pd mi fanno più che altro riflettere sulla logica che vi sta alla base, cioè il desiderio di riempire sempre il carrello fino al limite (nonostante una famiglia butti ogni anno circa 400 euro di cibo commestibile) e di comprare secondo scelte indotte dalla pubblicità più che per criteri nutrizionali. Se ipotizziamo una spesa al supermercato dove per prima cosa carichiamo qualche decina di bottiglie d’acqua (effettivamente la pubblicità ci ha insegnato che è miracolosa, mentre quella del rubinetto fa male, quindi ci adeguiamo!), poi passiamo a merendine, poi qualche zuppa o pasta surgelata pronto all’uso, passando per scatolette di carne e di tonno (che hanno un costo al chilo altissimo a fronte di una bassa qualità), poi magari passiamo nel reparto verdura dove prendiamo la vaschetta di carote grattugiate (6 euro al chilo contro 60 centesimi se comprate intere al mercato), passando per i pomodori ciliegino comprati anche in inverno (anche 8 euro al chilo) perché non sappiamo in che periodi la terra ci offre i suoi frutti e variamo pochissimo la nostra dieta, allora sì che 80 euro bastano appena per 2-3 giorni.

Qualcuno dirà: “ma perchè devo rinunciare a tutta una serie di mie abitudini e cose che mi piacciono?”. Certo, sarebbe opportuno fare scelte etiche, spendere poco ed esserne anche soddisfatti, ma perché imparare a comprare prodotti di stagione, che valorizzano il nostro territorio, riducendo alimenti inscatolati, pieni di conservanti e altre schifezze deve essere considerata una rinuncia? Non è  forse l’assiduo frequentatore di ipermercati a rinunciare ad un’alimentazione sana e a una parte del suo stipendio per seguire un modello di consumo che, per quanto tutti possano spergiurare l’incontrario, non è frutto di scelte attente – anzi sappiamo quanto le conoscenze in ambito nutrizionistico siano poco diffuse –  ma di un condizionamento pubblicitario?

Cogliamo l’occasione della crisi, indipendentemente da aumenti o riduzioni dell’irpef, per provare quanto meno a prendere in considerazione un modello diverso? Certo dobbiamo uscire tutti (cittadini, politici, sindacati…) dalla logica per cui benessere significa permettere a tutte le persone di comprare tutto quello che vogliono ogni volta che lo desiderano indipendentemente dalle conseguenze di queste azioni. Si tratta di sostituire un criterio quantitativo votato alla crescita, con uno qualitativo votato alla salute e la sostenibilità. Impossibile? Sicuramente no anche se indubbiamente difficile, ma in fin dei conti è  questa la scommessa della decrescita!

 Stefano Zummo

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