Quando si sente parlare di decrescita felice si pensa sempre ad un concetto di economia. Questo in parte è vero perché la critica alla società dei consumi scriteriata non può che partire dalla messa in discussione del PIL. Tuttavia questo non è che un inizio, un passaggio quasi obbligato ma che non obbliga e non restringe la riflessione.
Anzi, partendo proprio da questa messa in discussione del modello fallimentare di sviluppo, si aprono immense praterie per rivedere l’umano, la sua collocazione e tutto ciò che ne consegue. Detto in altri termini mettere in discussione questo modello occidentale di sviluppo significa ripensare il nostro modo di stare nel mondo, scoprire cose nuove, ritrovare antiche saggezze, mescolarle e dare spazio alla creatività.
Uno degli aspetti più tristi che si possono verificare in questi tempi di barbarie avanzata e presente, è la mancanza di umanità sotto molteplici punti di vista. Gli uomini e le donne ogni giorno corrono il serio rischio di alienarsi e soprattutto di disumanizzarsi venendo meno al loro compito primario per cui sono nati: essere dei capolavori di umanità.
L’uomo è tale ed è pienamente felice solo quando è pienamente uomo, pienamente umanizzato. Cammino lungo, che impiega probabilmente tutta una vita, ma cammino necessario se vogliamo assaggiare distillati di gioia e se vogliamo seriamente rendere i posti in cui viviamo belli.
Di mancanza di umanità ne abbiamo esempi quotidiani, e dove manca questa, immancabilmente avanza la bruttezza sotto ogni punto di vista. Tuttavia l’importante è educare ex-ducere, tirar fuori il meglio e il bello che è in ogni essere umano.
Uno dei punti principali a mio parere per tirare fuori il bello dalle persone e delle persone è l’imparare a ringraziare. Può sembrare banale ma se ci fermiamo un attimo a riflettere, possiamo notare che oggi non sempre e non tutti conoscono questa sottile e nobile arte. Non parlo certamente dei “grazie” dati e detti per formalità (anche quelli sono importanti e non scontati di questi tempi), ma parlo di quella capacità interiore di saper riconoscere il Bene ricevuto e di saperne essere riconoscenti.
Troppo spesso noto che “tutto ci è dovuto”, che il piatto sulla tavola, i regali, la giusta accoglienza, il lavoro ben svolto, la casa pulita, i panni stirati, le cose autoprodotte, le vacanze, i viaggi, i giochi per figli, i libri, il necessario per la scuola, etc etc siano qualcosa di scontato e di dovuto, quasi come un contorno obbligatorio.
Eppure così non è e non deve essere. E questo per almeno due motivi. Il primo. Dietro ogni azione c’è (quasi) sempre l’amore di chi lo ha fatto. Faccio un esempio “banale” ma non superficiale: quando rientriamo a casa dopo una giornata dura di lavoro e troviamo il piatto pronto, noi dobbiamo sapere che dietro quel piatto c’è stato l’amore di chi lo ha preparato. C’è stato il voler trovare gli ingredienti giusti, il prepararlo nel modo più sano possibile, il farlo trovare caldo e al momento giusto (chi torna da lavoro spesso è burbero perché affamato e a tavola possono consumarsi le più brutte litigate per cose banalissime), lo ha preparato magari anche se stanca o stanco della sua giornata di lavoro. Insomma dietro quel piatto c’è un “ti voglio bene”, voglio che tu stia bene. Questo se ci pensiamo un momento è meraviglioso. E lo stesso vale per i vestiti lavati e stirati, per il cibo o gli utensili autoprodotti e quant’altro. Ed è giusto che chi prepara tutto questo si senta almeno dire un “grazie, è molto buono, bello quello che hai fatto e che fai”.
Ma mi domando e chiedo a chi legge: siamo ancora capaci di cogliere questo? Siamo ancora capaci di dire grazie? Siamo ancora capaci di riconoscere il bene e il bello?
E qui veniamo al secondo punto. Chi non è capace di gratitudine non è capace di cogliere il bene e il bello. In altre parole non è capace di meravigliarsi di stupirsi. E questo, mi si permetta è molto grave.
Un mondo, una persona che non sa stupirsi, non sa meravigliarsi, non riesce a cogliere il bello e il buono che gli viene fatto, cosa può cogliere della vita? Cosa può costruire nella vita? e se non nasce la gratitudine per qualcosa che riceviamo come possiamopretendere che nasca per qualcosa che non ci appartiene direttamente ma di cui siamo lo stesso custodi, quali la Natura, il mondo e l’ambiente in cui viviamo?
A me, lo confesso, stupiscono sempre quei bambini che non sanno più stupirsi a Natale. O che non si stupiscono più davanti ad un pacco regalo. Ne hanno talmente tanti che per loro è normale e doveroso. Attenzione qui non stiamo facendo del facile moralismo bigotto. Lungi da me. Ma sto cercando di dire che stiamo smarrendo al grammatica di base dell’essere umano che si trasmette solamente negli ambienti familiari, di qualsiasi tipo di famiglia.
Stupirsi, meravigliarsi, riconoscere il bene ricevuto ed esserne riconoscenti sono cose basilari che innescano, quando sono sinceri, dosi di vita nelle relazioni umane. Dire “Grazie” e anche saperlo ricevere, rendono la vita più bella, perché affinano i sensi, rendono gli occhi più profondi, fanno crescere lo spirito umano, lo rendono adulto, maturo e forte. Danno una possibilità a questa umanità sempre più invasa da barbarie. La gratitudine ha un grande potere, rende più umani e più belli, e ne abbiamo un disperato bisogno.
Alessandro Lauro