C’è un uomo in Terra dei Fuochi che brucia di passione. Un uomo semplice, un attivista, una persona buona che subisce potentemente il fascino della vita e che ha dato sempre tutto per gli altri. Non ha un nome famoso, se non tra noi che viviamo qui, in questo lembo di inferno strappato al paradiso, e non vuole nemmeno averlo. Ma va fatto, perché quest’uomo combatte ogni giorno il biocidio che subiamo da trent’anni: il suo nome, perciò, è Enzo Tosti. Occhiali, 57 anni, argento vivo addosso. E una confessione da fare.
Entra in casa mia come un turbine, Enzo, inconsapevole del sentimento di semplice fratellanza che da subito riuscirà a suscitare nel tuo cuore. Se mi chiedeste qual è il primo ricordo che ho di lui, vi risponderei che è un abbraccio stretto stretto. Un abbraccio dato ad una perfetta sconosciuta a suggerire che siamo tutti superstiti qui, dove i fuochi covano ceneri complesse e drammi infiniti: tutti uniti da una mattanza perpetrata nel silenzio dello Stato dalla violenza ignorante della camorra e dalla gretta avidità dell’imprenditoria di mezza Italia. In quell’abbraccio, vi assicuro, ci si scioglie.
La storia di Enzo Tosti si intreccia con quella dell’ambientalismo campano. Giovane uomo di sinistra, con un percorso simile a quello di tanti altri ragazzi impegnati socialmente nell’area di Napoli Nord, una grande passione per la storia e per la gente, Enzo si imbatte presto nel Grande Bluff: l’industrializzazione forzata di paesi a vocazione agricola come Caivano (dove c’è la parrocchia di Padre Maurizio Patriciello e dove nasce buona parte della resistenza al Biocidio) baratta lo stipendio fisso con la morte. Il profumo della canapa che impregnava i vestiti dei lavoratori anche nei giorni di festa – racconta Enzo – viene sostituito dal fetore del comparto industriale in marcia verso il progresso.
La terra comincia a bruciare. La gente a morire. Le campagne diventano piene delle polveri delle fonderie circostanti, la camorra costringe i contadini a comprare compost realizzati con gli scarti della lavorazione industriale e interra, ovunque, tonnellate di rifiuti tossici che avveleneranno la nostra vita per sempre nel silenzio complice di chi, qui, non è mai Stato.
Mi hai detto che negli anni ’80-’90 gli ambientalisti erano grosso modo gli “impegnati”, cioè persone provenienti da ambienti culturali di sinistra che, preoccupandosi della difesa dei diritti tra i lavoratori, hanno poi maturato una coscienza ambientalista. E oggi? Chi sono oggi gli attivisti ambientalisti in Campania e nel resto d’Italia?
Oggi l’attivismo ambientalista ha caratteristiche diverse. Il diritto alla vita appartiene a tutti e tutti, senza distinzioni, siamo chiamati alla difesa della nostra terra. Anzi, dobbiamo puntare proprio su quest’attivismo più vero, più spontaneo, che rifugge le etichette e le parti politiche: il potere vuole dare un nome alle cose, ama le sigle che creano contrapposizioni e quindi, per contrastarlo, dobbiamo imparare a dare peso solo alle idee e all’impegno delle persone. L’unica bandiera sotto la quale dobbiamo marciare è quella della Vita.
In “Un programma politico per la Decrescita”, a cura di Maurizio Pallante, Marco Cedolin – storico esponente dei NO TAV – sostiene che l’aumentare delle conoscenze tecniche sviluppate da un popolo porta prima o poi alla consapevolezza che il sistema sviluppista in cui viviamo non terrà mai conto, nel prendere decisioni, dello stato di salute e di ben-essere dei cittadini, ma soltanto del profitto. Se i tumori e le cure chemioterapiche ad essi connesse continueranno ad aumentare il PIL, si continuerà a non eliminarne le cause di insorgenza, come l’inquinamento, e a favorire le lobby farmaceutiche. C’è tra di voi chi pensa che forse la soluzione non è quella dello sviluppo sostenibile che si richiama comunque alla logica del profitto, ma che, come scrive Papa Francesco nell’Enciclica “Laudato sii”, sia necessaria ormai “una certa decrescita”?
Questo pensiero si sta facendo pian piano spazio. E’ inutile continuare con le colate di cemento, sottraendo territorio alla naturale vocazione agricola e turistica della nostra terra, quando le case e le strutture ci sono già per tutti. E anche quando parlo di turismo, non mi riferisco certo al turismo che distrugge le bellezze naturali per far posto ai grandi complessi-vacanze: non può esserci vero progresso se non si rispettano i luoghi e i paesaggi. E se non si rispettano i luoghi, non si rispetta l’Uomo.
Tu ripeti spesso che la via per sensibilizzare le persone al dramma dell’inquinamento, è parlare loro di salute. Tuttavia, nel 2013, quando 130.000 persone sono scese in piazza contro il biocidio, tutti ci siamo commossi al vedere sfilare le mamme che portavano come un vessillo la foto dei figli uccisi dalla Terra dei Fuochi, ma poi la maggior parte di noi è ritornata nella comodità delle proprie case e ha lasciato che fossero le mamme, da sole, a combattere per tutti. Le persone non vogliono sentir parlare di tumori o leucemie: tende a scappare e a sotterrare la testa. Inoltre, il 30 dicembre scorso, l’Istituto Superiore della Sanità pubblica uno studio in cui si ammette finalmente che in Campania c’è un legame tra insalubrità dei luoghi e un aumento delle patologie tumorali soprattutto tra i bambini: di nuovo una valanga di polemiche o i soliti silenzi ci dicono che – sull’argomento salute – dobbiamo ricominciare ogni giorno daccapo. Siamo proprio sicuri che la via per arrivare al cuore delle persone sia la salute? Sono state valutate altre possibilità?
Il motivo per cui dopo il 2013 c’è stata una dispersione delle forze in gioco risiede nell’individualismo che permea la vita di ognuno di noi, anche inconsapevolmente. La grandissima attenzione mediatica – che comunque ha portato, grazie allo strumento normativo della L.6/2014 (peraltro insufficiente) alla legittimazione di Terra dei Fuochi,– ha alimentato anche il personalismo, il protagonismo, il professionismo nell’associazionismo. La gente non si è sentita più convolta nei processi conoscitivi e in quelli decisionali. Di conseguenza, è ritornata a casa. Il più grande lavoro da fare, quindi, è su noi stessi: bisogna smettere di parlare di “IO” e passare al “NOI” cercando di esaltare i talenti di ognuno, senza farli diventare strumento di potere.
Ritornando all’Enciclica Papale: Francesco dice che il degrado ambientale e sociale, causato dalla cultura dello scarto, è il frutto della visione tecnocratica della natura considerata come terreno di conquista: sei d’accordo? E la vita condotta da un ambientalista, tra terre violate e vite perdute, quanto avvicina alla Bellezza del Creato?
Papa Francesco ha un grandissimo merito: quello di aver scritto un documento eversivo alla portata di tutti. Non sembra nemmeno scritto da un Papa. E la semplicità del linguaggio, insieme alla chiarezza di esposizione dei temi ha, secondo me, proprio questo significato: siamo TUTTI chiamati a difendere la nostra terra, ad amare la Natura e l’Uomo, ognuno per il proprio ruolo, ognuno con il suo grado di responsabilità. E’ questo l’appello più grande, come ti dicevo prima, alle persone: non al rivoluzionario di turno, non al professionista dell’attivismo, ma alla gente comune.
Personalmente, si, credo che girando tra la gente e studiando, verificando con mano il disastro ambientale in Campania e in altre zone d’Italia, si impara che dev’esserci per forza Qualcuno di più grande. La Vita esplode prepotente anche dove tutto sembra perso: ho visto la Natura riappropriarsi del deserto lasciato dalle industrie e dalla munnezza, l’edera vincere il cemento. Non si può che provare rispetto e deferenza per una forza tanto più grande di noi.
Enzo parla con grande commozione di questo Amore che ha imparato ad accogliere. E’ un uomo generoso nelle emozioni, mai stanco di parlare e di testimoniare con il suo impegno quanto è profondo il trasporto che prova per la gente e per la sua terra. Una Terra che non è solo quella dei Fuochi, ai suoi occhi, ma ogni angolo del mondo che riporti le ferite inferte dalla nostra stupidità.
Una Terra che, alla fine, lo ha tradito: nel sangue di Enzo sono stati trovati alti livelli di pcb 118-126 (policlorobifenili, inquinanti simili alla diossina), già riscontrati nel sangue di uno dei tanti martiri della Terra dei Fuochi e tipici della zona Caffaro di Brescia. Gli è stata diagnosticata una forma di leucemia.
Hai scoperto di aver contratto la leucemia pochi mesi fa. Vivere in Terra dei Fuochi, guidare nelle discariche – tra i roghi – giornalisti, politici, la Guardia Forestale e chiunque avesse più voce di te per gridare che la Campania muore, richiede un prezzo troppo alto. Perché hai deciso di parlare pubblicamente della tua malattia?
Non sono alla ricerca di un pubblico commosso, né tantomeno voglio trarre profitto dal mio stato di salute. So già – perché Padre Maurizio è oggetto di continui attacchi personali e perché alle mamme orfane dei propri figli sono state dette cose terribili – che anche a me, probabilmente, verranno mosse molte accuse. Io, però, che ho sempre rifiutato tutte quelle opportunità che comportavano un compromesso, sono pronto a controbattere con forza le obiezioni di chi si azzarderà ad attaccarmi. Io non sono un eroe. Né voglio esserlo. Ho il dovere morale di gridare per tutti quelli che si ammalano di “ambiente” e non lo sanno: a differenza loro, io lo so. Voglio continuare a essere, in fondo, quello che sono sempre stato: io voglio essere solo Enzo Tosti.
“Solo Enzo Tosti”. Guardo il mio amico: i suoi occhi, lucidi specchi di un cuore grande e di una forza che non so misurare, fissi nei miei che spero tradiscano quanto sono fiera di avergli aperto le porte della mia casa e della mia vita. E mentre spengo il mio improvvisatissimo registratore, mi dico che anche io sono “solo Miriam”, ma che non sarò mai all’altezza del suo coraggio.
Guardandolo andare via e sentendomi ad ogni passo avvampare, più decisa di prima a difendere la mia terra, capisco che è questo il motivo per cui è venuto da me. Per accendere un fuoco che faccia un po’ di luce fra i tanti che qui portano solo morte.
Miriam Corongiu
Fonte foto in evidenza: Parallelo 41