Castelli scarica la Tav: è tardi, forse può saltare tutto

da | 17 Giu 2011

Aria di fallimento per la Torino-Lione? Mentre il governo traballa, dopo la “sberla” dei referendum su acqua, nucleare e giustizia e in attesa del fatidico verdetto di Pontida, il pratone bergamasco dal quale ora si capirà se e come la Lega staccherà la spina dall’esecutivo del Cavaliere, un dirigente leghista come l’ex guardasigilli Roberto Castelli, ora viceministro per le infrastrutture, si mostra pessimista sulla realizzazione della contestatissima linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, alla quale la valle di Susa si oppone strenuamente da vent’anni. «Un progetto vecchio e ormai superato», aveva avvertito mesi fa l’europarlamentare Pdl Vito Bonsignore. E ora, l’allarmato pessimismo di Castelli.

«C’è il rischio che salti tutto», scrive il 16 giugno Marco Zatterin su “La Stampa”, spiegando che Castelli, il giorno prima, «non ha incontrato il collega francese a margine del Consiglio Trasporti Ue svoltosi a Lussemburgo». Ora l’esponente leghista si dice  molto pessimista sul futuro del progetto: «L’aria è talmente brutta che già comincia a profilarsi il  possibile tracollo dell’opera, che Bruxelles potrebbe decidere di non finanziare se il quadro non sarà trasparente entro fine mese», aggiunge “La Stampa”, registrando le dichiarazioni di Castelli: «Io ho denunciato più volte che se i cantieri non si aprono entro la fine del mese, il rischio che salti tutto è concretissimo, ma il ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha fatto tutto quello che doveva fare, tanto è vero che i cantieri ormai da almeno venti-trenta giorni sono pronti per essere aperti».

Contro l’apertura del cantiere, alla Maddalena di Chiomonte, si oppongono i valsusini: in centinaia presidiano il sito con l’occupazione nonviolenta dei terreni, mentre in migliaia si tengono pronti a intervenire come “scudi umani” nel caso le autorità decidessero di ricorrere all’uso della forza, come richiesto dai torinesi Chiamparino e Fassino. «Sarebbe una soluzione inaccettabile, specie dopo un referendum per la difesa del bene comune», avverte Giorgio Airaudo: «In caso di forzature, la Fiom scenderebbe in campo a fianco dei manifestanti valsusini, protagonisti in questi anni di buona politica, fondata sulla partecipazione popolare e democratica per la tutela del territorio: buona politica che i partiti non hanno saputo raccogliere, insistendo nel voler creare un nuovo corridoio, costosissimo, per merci che nessuno consumerà e che forse non saranno neppure prodotte, mentre le nostre fabbriche migrano all’estero».
 
Eppure, per il leghista Castelli, il vero problema è l’ordine pubblico, e non «l’intesa bilaterale coi francesi che non è stata rinegoziata», rimarca Zatterin, o «il progetto definitivo che non è stato bollato». Il giornalista de “La Stampa” aggiunge un altro elemento polemico, caro ai No-Tav: «La linea storica non ha ripreso a correre». Vero: l’attuale ferrovia internazionale che già attraversa la valle di Susa, la Torino-Modane, è semideserta: impiegata solo al 30%. Oggi le merci seguono la rotta Genova-Rotterdam, la direttrice est-ovest sta letteralmente crollando: la Torino-Lione rischierebbe di essere una linea-fantasma, assolutamente inutile, aperta sventrando la valle di Susa con vent’anni di cantieri, col rischio di lasciare la zona all’asciutto se venissero tagliate le falde acquifere, come in Mugello. E non solo: ci sarebbero anche rischi per la salute.

Il professor Massimo Zucchetti del Politecnico di Torino ha trascinato i suoi studenti alla “Libera Repubblica della Maddalena”, il variopinto “presidio” No-Tav di Chiomonte, per una insolita lezione, fuori sede, del suo corso di “protezione dalle radiazioni”. Tema: “Impatto ambientale delle polveri di uranio”, problema ammesso nei Balcani, in Iraq e in Sardegna, ma non ancora in valle di Susa. Zucchetti è stato consulente della Comunità Montana valsusina, schierata anch’essa accanto ai No-Tav: «Fondamentale – spiega il professore – capire bene cosa significa scavare un tunnel in una zona uranifera come la Valsusa», dove i cantieri libererebbero nell’atmosfera il gas radon e le polveri di smarino. «Questo deve restare un luogo sano, dove sia possibile vivere e lavorare», dice Gigi Richetto, uno dei veterani della “resistenza” valsusina, che spiega che al “presidio” si sono incontrati 100 imprenditori No-Tav (piccoli industriali, artigiani, agricoltori) decisi a creare un cartello produttivo contro la Torino-Lione.

Dunque il “presidio” di Chiomonte è un luogo dove si tengono riunioni di imprenditori, concerti come quello dei Lou Dalfin e persino lezioni universitarie. Eppure, per Roberto Castelli lo stallo dei cantieri è dovuto non al carattere popolare dell’opposizione, ma a «persone che con la violenza impediscono che vengano aperti», forse riferendosi al lancio di pietre sull’asfalto della vicina autostrada del Fréjus, nella notte fra il 23 e il 24 maggio, di fronte al primo tentativo di occupazione “militare” del sito. Episodio controverso, che ha scatenato gli avversari storici dei No-Tav, Pd in testa: il neosindaco torinese Piero Fassino, fingendo di ignorare che la lotta contro la Tav ha portato 40.000 valsusini in strada negli ultimi cortei, ha invitato i militanti a «isolare le frange violente». Cronometrico, di lì a poco, l’invio di buste con proiettili a dirigenti Pd come Stefano Esposito.

«Metodi mafiosi, da strategia della tensione», protestano i No-Tav, che del resto hanno chiesto aiuto ad Amnesty International contro il ricorso all’uso della forza nei loro confronti, arrivando anche a rivolgere un appello ai «cittadini in uniforme», le forze dell’ordine, invitate a «riflettere su quanto viene chiesto loro, e cioè usare violenza solo per consentire la realizzazione di un’opera faraonica da 20 miliardi, una vera rapina ai danni degli italiani, a unico vantaggio della lobby del cemento». Esposito insiste e dice che i No-Tav addirittura avrebbero allestito una sorta di checkpoint per filtrare le presenze sgradite, comprese quelle dei giornalisti? Peccato che ogni giorno il “presidio”, perfettamente accessibile, sia visitato da reporter e troupe: il 13 giugno, ad esempio, nessuno ha “filtrato” l’arrivo di giornalisti della “Stampa”, del “Fatto Quotidiano” e di troupe televisive regionali.

Secondo i No-Tav, proprio Esposito «continua a divulgare enormi falsità sul movimento:  qualsiasi giornalista venuto a Chiomonte ha potuto compiere il proprio lavoro in totale tranquillità». Protestano i militanti: «Non abbiamo nulla da nascondere, le nostre iniziative sono sempre state pubbliche e alla luce del sole». Oltretutto, «è profondo interesse del movimento diffondere le sue iniziative con ogni mezzo, nonostante più volte sia stato attaccato proprio tramite media e grandi testate giornalistiche». Verissimo: oltre che politico, l’isolamento dei No-Tav è stato anche mediatico. Ben poche le inchieste obiettive, come quella – esemplare – realizzata l’altr’anno da “La7” per la trasmissione “Exit”. Bilancio: non esiste una sola ragione seria e documentata per dire sì alla Torino-Lione, la cui “utilità strategica” continua a restare un mistero.

«Chi aveva la responsabilità di dare spiegazioni sull’opera non l’ha mai fatto», accusa Giorgio Airaudo, schierando la Fiom coi valsusini: «Un’azione di forza non sarebbe accettabile, reagiremmo». E se Beppe Grillo, dopo il comunista Paolo Ferrero, è da anni al fianco della “valle che resiste”, l’europarlamentare Idv Luigi De Magistris, neo-sindaco di Napoli, ha rivolto un appello formale all’Unione Europea: la prima trance di finanziamenti, quei 700 milioni che fanno così gola da spingere i torinesi a premere per aprire il cantiere «ad ogni costo», in realtà vanno bloccati, perché una opposizione popolare così vasta – oltre 70.000 abitanti e 24 Comuni – testimoniano che l’opera verrebbe condotta contro la volontà popolare, in aperta violazione dei principi europei.

Da una parte, accusano i No-Tav, ci sono politici che fanno disinformazione e magari si mettono «al servizio delle lobby mafiose che vorrebbero usare la forza per eliminare l’opposizione all’alta velocità», e dall’altra la valle di Susa appare sempre meno isolata, rinfrancata anche dalla valanga democratica dei referendum contro la Casta delle privatizzazioni e per la tutela del bene comune. Basterà, per evitare il peggio? Roberto Castelli indica una deadline, la fine di giugno: oltre la quale, la storia infinita della Torino-Lione potrebbe addirittura chiudersi. Con buona pace «del signor Esposito e company», scrivono i No-Tav sul loro sito, dopo anni trascorsi ad «attaccare e criminalizzare il movimento». Intanto, la vigilanza dei presidianti resta altissima: «Se sarà toccato anche solo un anziano, un giovane, una donna – avverte Gigi Richetto – insorgerà l’Italia».

Fonte: Libre