Fa riferimento a Maurizio Pallante, fondatore, teorico e Presidente nazionale del Movimento. La decrescita Felice è una filosofia concreta che chiunque – ciascuno quotidianamente e i Governi in Politica – può mettere in pratica. Decrescere non vuol dire rinunciare a nulla, ma modificare i comportamenti che implicano inutili sprechi, investire nelle tecnologie per il risparmio energetico, nelle rinnovabili, nella bio-edilizia, autoprodurre, quando possibile, alcuni beni, ridurre i rifiuti, fermare il consumo di suolo, tutelare la bio-diversità, istaurare relazioni fondate sulla reciprocità e sul dono invece che sulla competizione.
La decrescita felice si propone lo scopo di correggere le storture del nostro modello economico e indica la via per un’altra dimensione del benessere, in un mondo meno inquinato e in una società più umana.
I soci fondatori di MDF fermano hanno tutti alle spalle un percorso ed esperienze di ambientalismo sincero, non a parole né tantomeno strumentale. Quale Presidente e legale rappresentante del Circolo è stata eletta Manuela Marchetti già Assessore Provinciale all’Ambiente; Vicepresidente Elmo Tappatà, fondatore del CITASFE; segretaria Marta Tarquini; Tesoriere Patrizia Serafini. Gli altri soci fondatori sono: Giovanni Laurini, Paola Paccapelo, Marco Rotunno, Luigi Sacchi, Gabriele Tarsetti, Maria Luisa Urban, Massimo Zanchè.
Questa nuova associazione, ovviamente pronta ad accogliere ulteriori iscrizioni, in coerenza con la propria natura rispettosa della “casa comune” rappresentata dall’ambiente, non può esimersi dall’affrontare la questione del giorno: quella relativa al tanto discusso e discutibile motodromo.
Ancora una volta polemiche, politica spaccata e cittadini divisi in due schieramenti sull’ennesima proposta di privati ed imprese che “offrono” una possibilità per il rilancio del territorio e propongono una soluzione (la realizzazione di un motodromo) a suon di metri cubi di cemento ed abbondante consumo di suolo. Per il Movimento Decrescita Felice quest’ultimo elemento sarebbe già di per sé sufficiente per valutare con estrema cautela il progetto, ma, a nostro avviso, si evidenziano problemi ancora più grandi. Il nostro Paese è oggi in testa alle classifiche per il consumo di suolo e la cementificazione del territorio: viaggiamo al ritmo di 240.000 ettari all’anno cioè una quantità che è 25 volte superiore a quella della Germania; in Italia negli ultimi 15 anni si è cementificata un’area grande come due regioni; anche le nostre Marche sono tra le regioni a più alto tasso di cemento collocandosi al secondo posto, dopo la Liguria, nel rapporto tra chilometri lineari di strade asfaltate e chilometri quadrati di territorio e vale qui sottolineare che l’asfalto ed il cemento possono essere considerati il più grave danno ambientale perché, oltre ad avere il ciclo produttivo più distruttivo in tutte le sue fasi, possiedono il carattere della irreversibilità.
Purtroppo alcuni amministratori considerano la pratica devastante della cementificazione come “sviluppo”.
Quanto dovremo ancora attendere per avere degli amministratori che considerino il territorio e l’ambiente come dei beni comuni la cui tutela deve avere la precedenza rispetto agli interessi economici dei singoli? Non è questa un’idea fissa di pochi ma è un principio sancito dai massimi organi giuridici del nostro Paese. Se un pezzo di terra ha un proprietario, questi non è libero di farne ciò che vuole perché le conseguenze di ciò che fa ricadono sugli equilibri ecologici dell’intero territorio: e questo vale per gli alberi, per la terra, per le falde, per la permeabilità.
Dicevano gli antichi romani che spostare una pietra sul Fumaniolo aveva conseguenze sotto i ponti di Roma, e questa antica saggezza sembra, anch’essa, sepolta sotto il cemento.
Fonte: www.informazione.tv