I Presidenti delle Regioni italiane hanno detto "no" alla coesistenza tra colture ogm, biologiche e convenzionali. Così è stata rinviata l’intesa sulle cosiddette Linee guida sulla coesistenza e ricorrendo alla ‘clausola di salvaguardia’, tutte le Regioni eccetto la Lombardia, hanno chiesto al Ministro dell’Agricoltura Galan di vietare la coltivazione del mais Mon810 e della Patata Amflora .
L’Italia va ad aggiungersi all’elenco sempre più lungo dei Paesi europei – tra cui Germania, Austria, Ungheria, Lussemburgo, Grecia, Francia – che hanno deciso di vietare la coltivazione del mais MON810 e della patata Amflora,
La Task Force per un’Italia Libera da Ogm, la rete composta da 27 organizzazioni rappresentanti il mondo produttivo, del consumo e dell’ambiente – tra cui Coldiretti, Legambiente, Cia, Lega Pesca, Greenpeace, Slow Food, Aiab, Cna Alimentare e tanti altri soggetti – hanno sostenuto con forza questa decisione, che non si basa su motivazioni di natura ideologica.
Per Coldiretti, le colture ogm spingono verso la strada dell’omologazione e dell’agricoltura industriale basata sui grandi numeri e non sulla qualità, mettono a rischio le tipicità, il made in Italy e anche il legame di fiducia dei consumatori.
Secondo l’ultima indagine annuale di Coldiretti-Swg ‘Le opinioni di italiani e europei sull’alimentazione’, infatti, il 72% degli italiani (3 cittadini su 4) ritengono che i prodotti alimentari contenenti organismi geneticamente modificati siano meno salutari rispetto a quelli tradizionali. Va da sé che la scelta di vietare la coltivazione di Ogm in Italia è coerente con l’opinione della stragrande maggioranza dei cittadini.
Dello stesso parere è anche la Confederazione Italiana per l’Agricoltura (Cia) che sottolinea come la scelta delle Regioni sia indicativa del fatto che l’agricoltura italiana, tipica e diversificata, non abbia bisogno degli ogm e che sia possibile produrre colture proteiche libere dal biotech, con beneficio per l’ambiente e la salute, ma anche per le tasche di agricoltori e allevatori.
Tra gli effetti dell’introduzione nel mercato europeo delle sementi geneticamente modificate, infatti, devono essere considerati i costi insostenibili delle regole sulla coesistenza ed i costi di certificazione che le imprese agricole devono sostenere al fine di provare al consumatore che i loro prodotti sono ‘OGM free’.
In un’ottica di globalizzazione dei mercati, devono essere svolte considerazioni di opportunità per il nostro Paese. Per esempio, è indispensabile domandarsi perché l’Italia dovrebbe aprire al transgenico se, come visto, il consumatore non lo vuole, oppure perché la nostra agricoltura dovrebbe abbandonare una strategia basata sulla qualità, sulla tracciabilità e sulla sicurezza alimentare, per far posto ad una produzione omologante, sempre meno richiesta dal mercato. Secondo gli ultimi dati disponibili dell’International Service for the Acquisition of Agri-biotech Applications (ISAAA), in Europa si è registrato un crollo delle colture biotech del 12 % (dai 107.719 milioni di ettari nel 2008 si è scesi a 94.750 nel 2009) e solo 6 su 27 dei Paesi dell’Ue coltivano prodotti transgenici in seguito alla sospensione delle coltivazioni del mais MON810.
Fonte: Il Cambiamento