Cambiamo tutto

da | 9 Nov 2010

Innanzitutto, cambiare paradigma culturale perché quello attuale è inumano, non starò qui a dimostrare tale tesi perché ormai l’insostenibilità del sistema è riconosciuta persino dai fedeli della religione capitalista. Anche l’élite si rifiuta misurare la crescita col PIL, dopo decenni l’hanno capita anche loro. Certo essi non molleranno lo scettro del potere, emettere moneta debito questo è ovvio ma il fallimento del sistema di controllo del capitalismo globale è sotto gli occhi di ognuno di noi. L’élite progetta la moneta unica mondiale ed i banchieri si contendono la disputa sulla moneta di riferimento, una volta era il dollaro, sganciato dall’oro ed agganciato al petrolio, ora si vedrà quale sarà la nuova. In questa fase i popoli potrebbero svegliarsi, come alcuni stanno facendo e ragionare sulle cose più semplici come l’obsoleto sistema di misurazione della crescita e della ricchezza, la fine del petrolio a basso prezzo, e l’inutile crescita dei consumi. Alcune comunità intendono applicare fino in fondo il principio di autoderminazione, il governo del popolo, rendendosi autonome circa la sovranità alimentare, energetica e monetaria usando anche strumenti di democrazia diretta.

Proviamo a ragionare, ancora una volta, circa il funzionamento degli Enti pubblici: la pubblica amministrazione non è pensata per soddisfare i bisogni degli esseri umani ma per opprimerli e scoprilo è molto semplice.

Nella teoria neoclassica, gli oggetti teorici non sono le azioni umani così come le conosciamo, ma “i prezzi e le quantità”. Essa in tal modo opera una cesura con la storia e i gruppi umani: la teoria neoclassica della crescita è giustamente celebre per non avere alcunché di umano. (Edmund S. Phelps, Théorie macroéconomique pour économie moderne, Conferenza Nobel, in “Revue de l’OFCE”, 102, estate 2007)
Cos’è il patto di stabilità? Lo spiega anche wikipedia: Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell’Unione Europea, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all’Unione Economica e Monetaria europea (Eurozona). In base al PSC, gli Stati membri che, soddisfacendo tutti i cosiddetti parametri di Maastricht, hanno deciso di adottare l’euro, devono continuare a rispettare nel tempo quelli di ordine fiscale, ossia:
un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL;
un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL (o, comunque, un debito pubblico tendente al rientro).

Cos’è il deficit pubblico? Secondo wikipedia: Il deficit o disavanzo pubblico è l’ammontare della spesa pubblica non coperta dalle entrate, ovverosia quella situazione economica in cui, in un dato periodo, le uscite dello Stato superano le entrate. Il disavanzo è dunque un risparmio pubblico negativo, al contrario del surplus o avanzo pubblico, che è risparmio pubblico positivo (quando le entrate superano le spese)

Abbiamo capito? Il deficit è quando le uscite superano le entrate e non devono superare il 3% del PIL solo che quest’ultimo non cresce se la produzione viene spostata nei Paesi in via di sviluppo. Ma non solo, leggiamo i dati riportati Maurizio Pallante: «Dal 1960 al 1998 in Italia il prodotto interno lordo a prezzi costanti si è più che triplicato, passando da 423.828 a 1.416.055 miliardi di lire (valori a prezzi 1990), la popolazione è cresciuta da 48.967.000 a 57.040.000 abitanti, con un incremento del 16,5 per cento, ma il numero degli occupati è rimasto costantemente intorno ai 20 milioni (erano 20.330.000 nel 1960 e 20.435.000 nel 1998). Una crescita così rilevante non solo non ha fatto crescere l’occupazione in valori assoluti, ma l’ha fatta diminuire in percentuale, dal 41,5 al 35,8 per cento della popolazione. Si è limitata a ridistribuirla tra i tre settori produttivi, spostandola dapprima dall’agricoltura all’industria e ai servizi, poi, a partire dagli anni settanta del secolo scorso, anche dall’industria ai servizi». E’ chiaro? L’aumento del PIL non significa maggiore occupazione.

La pubblica amministrazione (PA) non misura la qualità della vita, ma essa ha come priorità questioni di bilancio monetarie e non la salute dei cittadini, l’istruzione e l’educazione civica. Invece, in una PA che pensa seguendo l’etica dovrebbe sapere e riconoscere che la moneta non è ricchezza ma solo un mezzo di scambio. La PA anziché usare la moneta come strumento per ottenere qualità si lascia amministrare seguendo regole immorali ed innaturali dei bilanci monetari, entrate-uscite. Il disavanzo pubblico in cambio dell’istruzione, del cibo, della casa e della prevenzione primaria non è un problema anzi è giusto (è implicito che la moneta deve essere pubblica). Qualche povero sciocco, immaginando ad un presente-futuro che non esiste, potrebbe pensare allo spreco di servizi, bhè, prima mettiamoli questi servizi e poi verifichiamo se si tratta di sprechi. Altrimenti, inventandoci le paure si conserva lo status quo (ricordiamolo, fatto di sprechi e malaffare per giovare l’élite) non si avrà mai il coraggio di sperimentare. E’ spreco finanziare la prevenzione, finanziarie la sicurezza statica degli edifici? E’ spreco spendere soldi per salvare vite umane? Il disavanzo pubblico in cambio della felicità umana non è un problema. La moneta serve a questo, offrire uno strumento per consentire di fare la spesa a chi si impegna a curare bambini, a chi si impegna nella cultura e nello svago, perché questi aspetti della vita umana sono molto più importanti di un ridicolo pareggio di bilancio figlio dell’inganno del costo di produzione. Per vivere non esiste alcun costo di produzione, noi viviamo perché esiste il Sole ma abbiamo bisogno che l’ambiente sia sano e sicuro, liberi dall’invenzione del debito. Secondo le norme attuali una PA che ha bisogno di servizi non può costruire una struttura socialmente utile o pagare lo stipendio di chi ci lavora perché non potrebbe superare il 3% del PIL, ci rendiamo conto di questa assurdità? Ci rendiamo conto che il PIL non misura la qualità della vita? Ci rendiamo conto che la trasmissione di valori e delle conoscenze non possono essere limitate dai costi o dai bilanci? Nessuno è in grado di misurare la passione e l’impegno nel vivere in armonia con la natura, anzi il PIL non tiene minimamente conto delle leggi della natura ed i principi di bioeconomia, esso misura solo la produzione annuale, non può dirci se un cibo è sano. Il PIL non tiene conto dei diritti umani ma solo dei profitti monetari.
Le regole odierne anziché introdurre criteri ed indicazioni etiche hanno consentito di svuotare sempre più la democrazia rappresentativa, spostare sovranità dagli Enti locali verso la lontana Europa e consentire ad alcune SpA di rubare a norma di legge.

Poteri di autocontrollo sono stati ceduti ad Enti sovranazionali e non rappresentativi e le SpA governano i servizi locali tramite concessioni e monopoli locali (usurpazione).
Questo è accaduto perché è stato introdotto l’uso del diritto privato in ambito pubblico e di conseguenza gli Enti pubblici hanno tradito la natura di controllori e di tutela dei beni pubblici, il pensiero produttivista e competitivo ha sostituito gli interessi e l’etica pubblica, così il pareggio dei conti ad ogni costo ha cancellato i diritti umani. Negli anni ’90 anziché copiare la riforma amministrativa del Sud del Brasile (bilancio partecipativo) che applicava democrazia economica (art. 47 Costituzione) è accaduto che in ambito nazionale i beni dello Stato sono stati ceduti ad SpA (privatizzazioni di rapina) ed in ambito locale i Sindaci sono diventati feudatari e così la plutocrazia è stata applicata. Insomma, la direzione opposta indicata dalla Costituzione.

Secondo i dati forniti dalla Corte dei conti il diritto privato non ha raggiunto l’obiettivo auspicato: maggiore sobrietà ed efficienza anzi è accaduto il contrario in un modo fortemente accelerato grazie agli strumenti finanziari, lo Stato è cancellato ed i cittadini frodati in ogni ambito. Gli amministratori hanno scambiato i diritti umani con l’avarizia.
Le critiche sugli indicatori errati, tutt’oggi usati, sono ben condivise fra gli economisti, infatti: “la crescita è accusata di ingarbugliare le priorità nazionali, aggravare la distribuzione dei redditi e alterare in maniera irrimediabile l’ambiente”. […] Una prima direzione di ricerca sembra quindi necessaria, ovvero modificare il quadro contabile esistente in modo che esso assuma meglio al suo interno le evoluzione dell’economia e della società: prima di tutto le ineguaglianze, la sicurezza, i servizi pubblici (sanità, istruzione, ecc.). Inoltre un certo numero di fenomeni che determinano il benessere delle popolazioni non sono misurati dal nostro quadro statistico, soprattutto quelli relativi all’ambiente (qualità dell’aria, dell’acqua, ecc.). Una seconda direzione di ricerca consiste allora nel cercare di proporre misure accettabili. In fine, non disponiamo davvero di indicatori della qualità della vita, anche se diversi lavori si sono coraggiosamente dedicati a colmare la lacuna (felicità, “capacitazioni”, tempo libero, libertà, partecipazione alla vita della propria comunità ecc.). Bisogna sviluppare e affinare questi indicatori, vista l’importanza che riveste la misurazione del benessere al fine di formulare politiche efficaci. [1]

«La moneta è un bene immateriale di valore convenzionale e, allo stato attuale dei regimi monetari, gravata di debito. La moneta ha valore perché misura il valore dei beni. Poiché ogni unità di misura è convenzionalmente stabilita, la fonte dello strumento monetario è la convenzione», diceva il prof. Giacinto Auriti.
«L’attuale creazione di denaro dal nulla operata dal sistema bancario è identica alla creazione di moneta da parte di falsari. La sola differenza è che sono diversi coloro che ne traggono profitto», Maurice Allais, premio nobel per l’economia.
«Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, né i successi del paese sulla base del prodotto nazionale lordo (PIL)», diceva Bob Kennedy.

La soluzione è banale, stampare moneta credito per soddisfare i diritti. Applicando la sovranità monetaria per gli Enti pubblici non esisterebbe alcun debito e nessun interesse sul debito e non usando più l’indicatore del PIL, per l’appunto, forse sarebbe più saggio il Benessere Interno Lordo (BIL), finalmente, gli Enti potrebbero iniziare a mutare visione sulla ricchezza e sulla qualità della vita verso il rispetto dei diritti umani, oggi oppressi. Vi sono esempi in tutto il mondo, Report, il 30 maggio 2010, nelle Goodnwes ha usato parole “nuove”: moneta complementare trattando il caso della WIR bank attiva dal 1934, in un’inchiesta passata trattò l’esempio della JAK bank.

La vera autonomia amministrativa sopra accennata è la soluzione per le regioni meridionali. I modelli di crescita adottati stanno distruggendo gli ecosistemi ma in molte aree del Sud prima derubate, distrutte ed uccise con l’occupazione dei Savoia, oggi dopo 150 anni di truffe potrebbero risorgere con l’uso di una moneta locale e l’applicazione di una genuina cultura ecologista-autonomista combinata all’uso degli strumenti di democrazia diretta. Insomma, imitare la Svizzera nei suoi strumenti amministrativi e sostenere la cultura agricola meridionale integrata alle tecnologie energetiche con fonti alternative.

[1] JEAN-PAUL FITOUSSI, ELOI LAURENT, la nuova ecologia politica, in campi del sapere, Feltrinelli, 2009 pag. 82