L’Italia è ko, ma non c’è crisi che possa frenare la spesa militare: sfiora i 20 miliardi e mezzo di euro lo stanziamento per la difesa nel 2011, un aumento secco di 130 milioni rispetto all’anno in corso, pari all’1,28% del Pil. «Decine e decine di macchine da guerra, costose e inutili», che verranno costruite nei prossimi 10-15 anni nel nostro paese, accusa Luca Galassi dalle colonne di “PeaceReporter”: armi costosissime, che «invecchieranno senza essere utilizzate in teatri di guerra, foss’anche perché le nostre sono solo “missioni di pace”». Galassi ha fatto i conti in tasca alla difesa: a lievitare sono i fondi destinati agli “acquisti” per i nuovi armamenti, un incremento dell’8,4%, pari a quasi tre miliardi e mezzo, ovvero 266 milioni in più rispetto al 2010.
Dove vanno questi soldi? In gran parte, spiega Galassi, saranno destinati al programma F-35, il cacciabombardiere “stealth” attrezzato per trasportare testate nucleari, che costerà 471,8 milioni di euro. Altri 309 milioni voleranno via per l’acquisto degli elicotteri Nh-90 della AgustaWestland, mentre la lista della spesa militare 2011 contempla anche due sottomarini U-212, del costo di 164,3 milioni, e di altri elicotteri Ch-47 F Chinhook (per 137 milioni), oltre all’ammodernamento dei caccia multiruolo Tornado (178,3 milioni). Per le altre acquisizioni, già avviate (il caccia Eurofighter Typhoon, il jet Aermacchi M-346 da addestramento, le modernissime fregate Fremm e i veicoli corazzati da combattimento Freccia) verranno reperite risorse dal ministero dello Sviluppo economico, chiamato a contribuire con poco meno di un miliardo di euro.
«C’è da chiedersi quale impiego strategico avrà il cacciabombardiere F-35», si interroga Galassi: lo stealth americano di ultima generazione può scagliare missili a testata atomica. L’Italia ne ha “prenotati” 131 esemplari: con quale reale obiettivo? E poi gli elicotteri: oltre ai 20 nuovi Chinhook in arrivo per il trasporto di truppe sul campo di battaglia, nel 2018 ammonterà a 116 unità la flotta di elicotteri d’assalto Nh-90. Altro capitolo iper-dispendioso, quello delle fregate Fremm: secondo il ministro Ignazio La Russa, il governo ha «rinviato la decisione» per le ultime quattro navi del programma originario, mentre le prime sei arriveranno sicuramente. Per La Russa, le Fremm «magari non sono indispensabili» per la difesa ma «può essere indispensabile costruirle», sostenendo così l’occupazione nei cantieri navali italiani, anche solo facendo crescere l’export militare.
Il settore è infatti in piena espansione: con un fatturato record da 3,7 miliardi, alla fine del 2008, come si è appreso lo scorso anno, l’Italia ha superato la Russia, divenendo il secondo esportatore mondiale di armamenti, dopo gli Stati Uniti. Tra i “gioielli” dell’industria militare nostrana, il veicolo tattico multiruolo Lince e l’elicottero d’attaco A-129 Mangusta, ma far lievitare il made in Italy sono anche armamenti meno “prestigiosi”, come le bombe a grappolo messe al bando da recenti convenzioni internazionali, non ancora ratificate nella loro piena applicazione. Un recente studio, intanto, colloca il nostro paese all’ottavo posto nel mondo per capacità di spesa militare: solo nella controversa missione in Afghanistan, l’Italia spende 65 milioni all’anno.
L’accresciuta capacità militare dell’Italia, che da anni continua a spendere in armamenti e missioni cifre da capogiro, un tempo impensabili, non stupisce esperti internazionali come Michel Chossudovsky, professore emerito dell’università di Ottawa e direttore dell’istituto canadese “Global Research”: destabilizzato il pianeta dopo la caduta dell’Unione Sovietica che mise fine alla Guerra Fredda ma anche alla pax nucleare garantita dalle due superpotenze atomiche, l’era Bush ha precipitato il mondo nella “guerra infinita”, dall’Iraq all’Afghanistan, fino alle attuali tensioni con l’Iran. Sullo sfondo, il timore dell’Occidente di perdere la propria egemonia di fronte alla potenza emergente della Cina. Da qui la caccia alle risorse, che comporta la militarizzazione del pianeta.
Chossudovsky denuncia «una escalation silenziosa ma costante», che impedisce all’opinione pubblica mondiale di percepire la reale portata del pericolo, che il “Global Research Institute” canadese non esita a definire “Terza Guerra Mondiale”, segnalando una straordinaria concentrazione di truppe, flotte navali e sistemi missilistici, armamenti dislocati nei punti nevralgici del pianeta. «Una concentrazione che non si vedeva dai tempi della Seconda Guerra Mondiale», sostiene Chossudovsky, che avverte: «Il pericolo aumenta, se consideriamo la totale indifferenza dei media», che raccontano la cronaca delle crisi locali, senza un’analisi complessiva. Il quadro è chiaro: la guerra non è ancora decisa, ma è un’opzione concreta, possibile, in avanzato stato di preparazione. Se i rapporti fra Usa e Cina dovessero precipitare, forse si capirebbe meglio anche la crescita della spesa militare italiana.
Fonte: Libre