Dopo il clamoroso dietrofront sul nucleare per paura del voto concomitante sul “legittimo impedimento” salva-premier, ora il governo esprime dubbi anche sul referendum che riguarda l’acqua. L’appuntamento è per il 12-13 giugno, ma il ministro dello Sviluppo Paolo Romani spiega che «anche su questo tema di grande rilevanza probabilmente sarebbe meglio fare un approfondimento legislativo». Immediata la reazione del comitato promotore della consultazione per l’acqua “bene comune”: hanno firmato un milione e mezzo di italiani per sottrarre l’acqua al mercato del profitto. Giù le mani dal referendum: l’acqua deve tornare una risorsa universale, pubblica, protetta da una tutela condivisa. E si deve concedere agli italiani il diritto di voto.
Il comitato sottolinea la straordinaria mobilitazione popolare, che non può essere mortificata da manovre di palazzo: «Mentre tentano lo scippo del referendum sul nucleare, il governo e i poteri forti di questo Paese vogliono provare a fare lo stesso con i due referendum sull’acqua. A governo, Federutility e Confindustria – insistono i promotori della consultazione – diciamo chiaramente: “Non ci provate, giù le mani dai referendum!”». Dopo il nucleare, rincara la dose il verde Angelo Bonelli, il governo ci sta provando anche sull’acqua, a far tacere l’opinione pubblica: «E’ in atto un gravissimo esproprio di democrazia e dei diritti che la Costituzione assegna ai cittadini attraverso lo strumento del referendum».
«Il governo – attacca Bonelli – sta rubando agli italiani il diritto di esprimersi direttamente su due questioni, acqua pubblica e nucleare, vitali per il futuro del Paese. Mai nella storia della Repubblica – dice il leader dei Verdi – è accaduto che si approvassero strumentalmente e in modo truffaldino provvedimenti che hanno come unico scopo quello di far saltare i referendum». Acqua e nucleare, continua Bonelli, hanno un valore di oltre 100 miliardi di euro: soldi che «le grandi multinazionali dell’energia e dell’acqua intendono spartirsi, prelevandoli dalle tasche dei cittadini». Bonelli si appella a Napolitano «affinché sia garantito il diritto al voto chiesto da oltre 2 milioni di italiani, a partire dal nucleare», evitando così «l’esproprio del diritto al referendum».
La sortita di Romani è servita a raccogliere le sollecitazioni venute da Roberto Bazzano, presidente di Federutility, la federazione che riunisce i gestori degli acquedotti: «Chiediamoci seriamente se non sia il caso di evitare un referendum che ha sempre più un taglio puramente ideologico». Parole che hanno suscitato le proteste del comitato referendario e dell’opposizione: «E’ un colpo di mano, si vuole togliere la voce ai cittadini: evidentemente c’è chi ritiene che le consultazioni popolari sui temi concreti facciano saltare le decisioni prese da pochi nell’interesse di pochi», accusa il presidente del Wwf, Stefano Leoni. «Prima hanno buttato dalla finestra 350 milioni di euro pur di evitare l’accorpamento con le amministrative», ricorda Luca Martinelli del comitato referendario, «e adesso provano a togliere di mezzo altri due quesiti, in modo da lasciare solo quello sul legittimo impedimento, su cui non sembra che il Parlamento intenda modificare il quadro legislativo».
Secondo i promotori del referendum sull’acqua, l’abrogazione di una parte della legge Ronchi non basterebbe però a bloccare entrambi i quesiti perché uno dei due fa riferimento a un quadro di privatizzazione che ha cominciato a delinearsi già con la legge Galli del 1994. Nonostante ciò, siamo di fronte all’ennesimo tentativo di «scardinare le basi della nostra democrazia», accusa Valerio Calzolaio di Sel, che confida comunque nella Corte di Cassazione che avrà l’ultima parola. «Va ricordato che abbiamo un sistema legislativo che offre una serie di paletti a protezione del voto popolare», aggiunge Calzolaio. «Una volta avviato il processo referendario, un’abrogazione delle norme – o attraverso le urne o grazie ad un intervento normativo preventivo – ha effetti giuridici abrogativi che durano cinque anni».
Fonte: Libre