Sul nucleare “il governo ha avviato una pausa di riflessione”. Parola di Giulio Tremonti che l’altro giorno, durante il Consiglio dei ministri, ha annunciato quello che in realtà già tutti sapevano. Che il programma di costruzione delle centrali nucleari è sospeso. Ora però è tutto scritto nero su bianco: non si deciderà niente riguardo alla localizzazione dei nuovi impianti fino al 2013.
Ma che cos’è che ha indotto il governo a fare marcia indietro su uno dei suoi punti chiave? L’onda emotiva provocata dal disastro di Fukushima? La posizione di Bruxelles sugli impianti, che, dopo il sisma in Giappone, è improntata alla massima prudenza? Anche. Ma ciò che più di ogni altra cosa ha spinto Silvio Berlusconi a rinunciare all’atomo è una valutazione politica in vista di due importanti appuntamenti: le imminenti elezioni amministrative e soprattutto il referendum dell’Italia dei Valori in programma a metà giugno.
Energia atomica e consenso elettorale, soprattutto quando si parla di voto locale, non vanno d’accordo. Chi voterebbe mai per un sindaco o un presidente di regione che ha in programma di costruire una centrale a trenta chilometri dalla propria abitazione? Nessuno. Tant’è che primi a suonare l’allarme sono stati proprio gli amministratori locali del centrodestra. Il giorno dopo lo tsunami in Giappone, quando Paolo Romani annunciava sicuro che sul nucleare “l’Italia non torna indietro”, a livello locale era una corsa a chi si smarcava prima dalle granitiche certezze del ministro. Dal Veneto del leghista Luca Zaia al Friuli Venezia Giulia governato dal pidiellino Renzo Tondo fino alla Lombardia di Roberto Formigoni era tutto un coro di “not in my backyard”. Che tradotto significa: il governo vada pure avanti con il suo piano, ma impianti a casa nostra non ne vogliamo.
Ma c’è di più. Il 12 giugno è in programma la tornata referendaria promossa dall’Idv che chiamerà gli italiani a pronunciarsi su quattro quesiti: due riguardano il No alla privatizzazione dei servizi idrici locali, uno il No al programma nucleare del governo e, in ultimo, il No al legittimo impedimento: la legge salva-processi fatta su misura per B, già parzialmente dichiarata incostituzionale dalla Consulta lo scorso 14 gennaio.
Il terrore di Berlusconi, con i sondaggi che lo danno in continuo calo, è che quell’appuntamento possa trasformarsi in un referendum su (o peggio contro) di lui. Il presidente eletto dagli italiani che identifica il consenso popolare come unica fonte di legittimazione. Ciò che teme il Cavaliere è che il quesito sull’atomo possa portare a votare il 50 per cento più uno degli aventi diritto. E’ già successo nel 1987, quando, dopo il disastro di Chernobyl, gli elettori sancirono l’uscita dell’Italia dal nucleare. E se il referendum di Di Pietro raggiungesse il quorum, è molto probabile che gli italiani rispediscano al mittente anche lo scudo giudiziario del premier.
Ma non sarebbe la bocciatura totale del legittimo impedimento a creare il vulnus principale per Berlusconi. Grazie al successo ottenuto alla Camera sul processo breve, il presidente del Consiglio è ad un passo dalla prescrizione del procedimento Mills e, in successione, da quello Mediaset e Mediatrade (e i parlamentari-legali del premier al Senato sono già al lavoro per metterlo al riparo dall’inchiesta sul caso Ruby). La cancellazione dello scudo salva-processi creerebbe al Cavaliere un problema politicamente molto più grave. La fine di quel patto con gli italiani da cui Berlusconi è convinto di poter trarre la legittimità per continuare a governare. E per giunta per mezzo di un referendum. Una macchia indelebile sul suo indice di gradimento e quindi anche sulle chance di continuare la legislatura. Soprattutto per un capo che ha costruito la sua immagine mediatica sul “perché così vuole il popolo”.
Ecco che allora l’ordine di batteria, all’interno del Pdl, diventa depotenziare in tutti i modi l’appuntamento. Con una serie di provvedimenti che fanno capire agli italiani che a mandare in cantina l’atomo ci ha già pensato l’esecutivo. E se le cose stanno così, il 12 giugno tanto vale andare al mare.
Una strategia chiara anche alle associazioni ambientaliste che in occasione della moratoria di un anno, sancita nel Consiglio dei ministri del 23 marzo, avevano parlato di “trappola, diversivo per salvarsi dal referendum e non mettere a rischio le elezioni amministrative”. Anche Greenpeace aveva sottolineato come la decisione del Cdm fosse “una foglia di fico con la quale l’esecutivo tenta di confondere le acque per dare a intendere ai cittadini che del referendum di giugno non c’è più bisogno”.
Ora, con la sospensione del programma atomico italiano fino al 2013, secondo Berlusconi, gli elettori si dimenticheranno del referendum sul nucleare e soprattutto di quello sul legittimo impedimento. E così lui potrà andare avanti a recitare la parte del presidente più amato dagli italiani.
D’altro canto, la posizione dell’esecutivo sulla materia era già stata espressa dal ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo che, in un clamoroso fuori onda, confidava a Tremonti e Bonaiuti: “Non facciamo cazzate. Non possiamo mica rischiare le elezioni per il nucleare”.
Fonte: ilfattoquotidiano.it