A Cuba una rivoluzione agroecologica per l’autosufficienza alimentare

da | 7 Mag 2011

A sessantacinque anni Nelson Campanioni è fiero di fare il contadino e non vuole essere trattato da sognatore quando spiega che a Cuba le città possono accogliere distese di orti. Campanioni è il segretario esecutivo del Programma nazionale d’Agricoltura urbana e suburbana, “una rivoluzione agroecologica” secondo lui, che consiste nel moltiplicare le aree agricole e orticole in città, occupando anche i tetti dei palazzi.

Lanciato nel 1997, il piano è uno dei pilastri della strategia di autosufficienza alimentare del presidente Raul Castro. Interessa frutta, verdura, ma anche fiori, piante d’appartamento e piante medicinali, come anche fertilizzanti naturali, con un obiettivo preciso: produrre 300 grammi di verdure e 60 grammi di frutta al giorno per abitante, per 11,2 milioni di cubani. Ad oggi non si è ancora raggiunto nemmeno il 10% di questo obiettivo, a causa della siccità, della burocrazia e dell’embargo americano, come sostiene Nelson Campanioni.

Con 10,5 milioni di tonnellate di verdure prodotte nel 2010, il piano è comunque tornato al suo livello del 2008, quando tre cicloni avevano devastato l’agricoltura cubana, provocando più di un miliardo di dollari di danni. Per mancanza di mezzi, la produzione si fa senza concimi e diserbanti chimici e a causa dell’assenza di macchine agricole e di benzina, il cavallo e il bue danno una mano per i lavori più pesanti. Si tratta dunque di ‘biologico per necessità’.

“Tre anni fa c’erano 50.000 fattorie, oggi sono 100.000 ed entro il 2015 speriamo di raggiungere quota 140.000”, spiega Companioni. A qualche chilometro dall’Havana, Alamar con i suo palazzi in stile sovietico accoglie una delle coltivazioni guida del progetto, gestita da una cooperativa. Con i suoi undici ettari, produce ogni anno 400 tonnellate di frutta e verdura per i 100.000 abitanti della zona, una periferia dormitorio della capitale cubana. La preoccupazione principale dell’agronomo capo dell’azienda agricola è il divieto di vendere al di fuori della zona di Alamar.

“Abbiamo bisogno di un sistema di commercializzazione più dinamico” afferma il capo dell’azienda biologica di Alamar, che ripone le sue speranza nel 6° congresso del Partito Comunista che a fine aprile dovrà adottare le misure economiche lanciate dal governo.

Fonte: Sloweb ripreso da Il Cambiamento