Trentamila per i No-Tav, ma solo seimila per la questura. Oppure, a scelta, almeno diecimila per i quotidiani. O ancora: ventimila per la Fiom, che di conteggi ai cortei se ne intende. RaiTre si limita a parlare di “migliaia” di manifestanti, mentre il sito ufficiale No-Tav parla di 25.000 persone. Tantissime, comunque: troppe, in ogni caso, per chi le teme. E a ragione: l’8 luglio, Torino è stata letteralmente invasa. Non solo dai valsusini in lotta per difendere coi denti il proprio diritto al futuro, ma anche da migliaia di torinesi, per niente convinti dalle chiacchiere dell’establishment sulla sempre più fantomatica Torino-Lione; come osserva “La Stampa”, almeno metà del “popolo delle primarie” non se la sente di schierarsi contro la valle di Susa.
Non casuale, infatti, la chiusura totale da parte del Pd, in allarme dopo la sortita di Vendola, che all’indomani della manifestazione oceanica di Chiomonte il 3 luglio – 70.000 persone – ha finalmente avanzato riserve, pretendendo rispetto per le ragioni della valle assediata. Risposta: la consueta reticente arroganza da parte di una élite di potere sempre più trincerata nella paura di non riuscire a far partire il cantiere più costoso e, probabilmente, più inutile della storia delle opere pubbliche italiane. In prima linea Bersani, secondo cui il problema non esiste: si tratta solo di rassicurare chi ha «qualche dubbio». Il pallido Fassino sembra un disco rotto, come Chiamparino: non fa che ripetere che la Torino-Lione si deve fare, punto e basta. E i gerarchi del partito, da Morgando a Saitta, ora auspicano che i sindaci “dissidenti” della valle di Susa, vicini ai No-Tav, vengano finalmente espulsi dal Pd. Niente male anche il centrodestra: l’assessore regionale Barbara Bonino plaude all’opposizione della Comunità Montana, dichiarando di poter finalmente avviare «un confronto serio» coi valsusini meno votati, ignorando il presidente Sandro Plano e cioè la rappresentanza legittima delle istituzioni locali.
Delegittimare la popolazione della valle di Susa, criminalizzare il movimento No-Tav, ricorrere all’uso della forza. E poi premere sui media per disinformare, mentire e depistare l’opinione pubblica prima che l’Italia si accorga davvero, come avvenuto per i referendum, che la grande opera ferroviaria puzza di imbroglio, mentre il nano-governo nazionale si va sfarinando, la nano-opposizione temporeggia senza mai proporre nulla di alternativo e l’esecutore Tremonti – obbedendo all’oligarchia finanziaria di Bruxelles – si appresta ad imporre al paese la più devastante stangata sociale della sua storia, minacciando di annullare la protezione del welfare su cui si sono basati decenni di stabilità continentale. C’è un mondo intero che sta crollando, ma gli oscuri alfieri della Torino-Lione non mollano.
Evidente anche la mancanza di senso del ridicolo: alla vigilia del violento sgombero del presidio No-Tav di Chiomonte, il commissario straordinario per la Torino-Lione ha annullato vent’anni di discussioni, confronti tecnici e “prove di dialogo”, annunciando – a parole – un clamoroso dimezzamento del progetto, sostenendo che forse basterebbe scavare il tunnel fra Italia e Francia, rinviando al 2035 l’eventuale linea Tav. Incredibile ma vero: secondo Mario Virano, l’attuale ferrovia valsusina Torino-Modane, fino a ieri scartata come residuato archeologico, in realtà funzionerebbe benissimo; solo fra un quarto di secolo, «eventualmente», si potrebbe poi decidere se sarà sufficiente a reggere il traffico merci (come sostengono i No-Tav, che segnalano che la linea è usata solo al 30%) o se invece sarà necessario realizzare i nuovi binari veloci, quelli da cui – secondo Chiamparino, Bersani, Fassino – dipenderebbe il futuro dell’umanità.
Il guaio è che questi signori pretendono di essere presi sul serio. E lo pretendono così tanto da non esitare a militarizzare la valle di Susa, autorizzando le forze antisommossa a usare violenza sui manifestanti: senza rendersi conto che proprio l’uso della forza certifica il totale fallimento di una politica che non ha ancora trovato il coraggio di dare spiegazioni. E’ ormai evidente a tutti che persino un movimento tenace come quello dei No-Tav, radicato nella legittima difesa del proprio territorio vitale, sarebbe costretto a cambiare posizione, di fronte a ragioni inoppugnabili, seriamente presentate; il che, in vent’anni, non è mai avvenuto. In due decenni, l’establishment non ha mai offerto altro che sordità, insulti e reticenza: è interamente della politica – di questa politica bugiarda e violenta – la prima responsabilità di qualsiasi eventuale sciagurata tensione, di cui gli scontri di Chiomonte sono stati un’avvisaglia, rischiando di ingabbiare la protesta nel triste copione dell’estremismo, tra disinformazione totale e lacrimogeni sparati ad altezza uomo.
La grande dimostrazione della fiaccolata di Torino ha invece segnato un’inversione di rotta, confermando il protagonismo intelligente del movimento No-Tav, che costringe ancora una volta la politica a inseguire, a giocare di rimessa, a balbettare i suoi anatemi sempre più patetici. La verità è che il Palazzo ha paura: non dei “black bloc provenienti dall’estero” (che a Chiomonte nessuno ha visto né tantomeno arrestato), ma delle fiaccole sorrette per le vie di Torino da migliaia di manifestanti, cittadini italiani che innanzitutto pretendono una cosa importantissima: spiegazioni. Non è accettabile che il movimento No-Tav coi suoi tecnici universitari “smonti” la Torino-Lione con incredibile facilità, mentre i fautori dell’opera non abbiano ancora saputo convincere la popolazione. Fino a quando il problema è rimasto relegato alla valle di Susa, l’establishment ha tentato di far tacere quei “quattro gatti”, col silenzio dei media e, all’occorrenza, coi manganelli. Ma ora che i “quattro gatti” hanno capito che la protesta va esportata perché il problema riguarda tutta l’Italia – 20 miliardi di euro buttati dalla finestra – è possibile che la lunga marcia delle fiaccole faccia molta strada, come auspica Ugo Mattei del comitato per l’acqua pubblica: la “truffa della Torino-Lione” deve diventare il quinto referendum.
Fonte: Libre