Voglia di esilio. O di un’altra Italia

da | 18 Lug 2011

L’arrogante ottusità della classe dirigente italiana inizia a farsi soffocante. Affermazioni infelici, volgari e spocchiose, ma soprattutto chiedere sacrifici a tutti mentre non si fanno tagli alla politica e alla casta in generale, è a dir poco intollerabile. Anche le continue azioni opposte, oltre che alla decenza e al buonsenso, alle direttive europee, o contrarie al rispetto degli impegni presi in ogni campo a livello internazionale, sono un imbarazzo che inizia a farsi pesante, per gli italiani generalmente fieri di esserlo. Ma sono solo la punta dell’iceberg del profondo disagio di chi ha o ha avuto modo di vedere come stanno invece le cose in Paesi che, come in teoria l’Italia, dovrebbero fungere da modello per il resto del mondo.

Parliamo ad esempio di ambiente: in Italia sembra che tutto quanto possa realmente creare benessere (non solo a livello ambientale, ma anche e soprattutto economico) venga scartato a priori dalle classi dirigenti. Poter ridurre le emissioni di gas serra, cosa che continua a non interessare a nessun paese del terzo mondo che si rispetti, può anche essere accantonata, finchè dura.

Ad esempio, il fatto di non sfruttare la possibilità di ristrutturare il patrimonio edilizio esistente, invece che sommergere il Belpaese di capannoni e bretelle autostradali, in modo da creare una miriade di nuovi posti di lavoro e di nuove figure professionali (oltre ad un mercato immobiliare parallelo in grado, come succede da anni in Germania, di risollevare le sorti del settore edilizio), sembra non suscitare un reale interesse.

Ma in Italia sembra che niente faccia sentire più quella sensazione frustrante che è la presa per i fondelli, spesso provocata da politici che ci trattano come bambini idioti. E nonostante la protesta monti, nonostante il messaggio forte, chiaro e necessario dei referendum dello scorso giugno, in una disarmante storia che si ripete in realtà, qui, sembra non cambiare mai nulla.

Ciò non significa che altri Paesi non abbiano problemi o difetti. Anche in Europa l’efficienza energetica non è presa abbastanza sul serio (a parte come al solito in Germania e nei Paesi scandinavi). Anche in Francia e in Gran Bretagna insistono col nucleare nonostante i costi e i numerosi (e gravi) incidenti degli ultimi tempi. Anche nelle altre nazioni la classe dirigente si arrampica sui vetri per promuovere una improbabile crescita economica senza limiti o altre assurdità per far fronte alla recessione globale.

La differenza sta però nel fatto che lì c’è ancora speranza, ovviamente non di un’immediata ripresa economica, ma almeno delle riforme culturali che possano far fronte alla crisi. La differenza è che se migliaia di persone scendono in piazza a manifestare non vengono ignorate o ridicolizzate (se non prese a lacrimogeni e manganellate). Quando si guarda un telegiornale ci si può fare un’idea su ciò che succede, e soprattutto si intravede la possibilità di un cambiamento. Cosa che in Italia, in molti, non riescono più a percepire.

Lo si vede dall’atteggiamento di molte persone, dai loro punti di vista omologati e quasi sempre ideologizzati, dalla diffusione disarmante di opinioni preconfezionate. Dall’esasperante divisione degli italiani in tifoserie, che li rende sempre più sudditi.

Del resto, si sviluppa una certa individualistica indifferenza quando si convive perennemente con la frustrazione dovuta al fatto che ogni progetto, ogni possibilità di miglioramento o di reale innovazione (in qualunque campo) verrà soffocata sul nascere da qualche politicante o da qualche faccendiere che non ci vede un guadagno immediato.

Suonerà pure arrogante, ma l’unico consiglio da dare agli italiani oggi è quello di svegliarsi, e anche in fretta. Prima che sia troppo tardi. Perché i tempi a venire saranno duri, molto duri. Che lo si voglia oppure no. La vittoria dei Sì ai referendum è stato solo un primo passo. Ma il viaggio è lungo, ed è solo all’inizio.

Fonte: ilfattoquotidiano.it