La “questione monetaria” è molto semplice: in qualunque economia si utilizza la moneta, non se ne può fare a meno, ma essendo questo “oggetto” un puro frutto della mente umana, e di nient’altro, occorre definirla, produrla, gestirla da parte di umani, con regole decise da umani. Non sono tre fasi separate o separabili in compartimenti stagni, ma tre aspetti della questione che si compendiano reciprocamente in un tutt’uno. Tralasciamo inizialmente la definizione, per certi versi conseguenza delle altre due fasi operative, quelle che fanno della moneta un fatto concretissimo nella quotidianità di miriadi di vite individuali, relazionate tra loro nell’ordinamento sociale di fatto, sia localmente che ai livelli superiori, fino al livello planetario, o globale.
Niente di più immediato che esemplificare le fenomenologie di produzione e gestione della moneta al giorno d’oggi: l’euro per gli europei, lo yen per i giapponesi, la sterlina per gli inglesi, il renminbi (o più semplicemente yuan) per i cinesi, il dollaro per gli americani …. anzi no, il dollaro per tutti, ma questa è un’altra storia.
Cos’hanno in comune le valute citate, e molte altre ancora, dal punto di vista gestionale? Che esiste un’unica tipologia di soggetto giuridico, sia pure in tante varianti, autorizzata alla gestione della moneta in rappresentanza della società tutta. E’ la Banca, che può essere “commerciale” (Istituto di Credito e servizi di pagamento-riscossione), “d’investimento o d’affari”, “mista”, “di clearing (internazionale)”, “privata”, “pubblica”, “Centrale”, “Mondiale”, ecc. ecc. Ma sempre di banca si tratta, in forma giuridica di S.p.A., Fondazione, Cooperativa, Holding, ecc. ecc. ecc.
In che modo le varie banche gestiscono la moneta? Registrandone la contabilità, il passaggio di possesso tra persone fisiche e giuridiche, come sostituti d’imposta per conto dello Stato, come amministratori del risparmio finanziario, come produttori e gestori di strumenti finanziari, come erogatori di credito, come gestori delle borse valori, come interlocutori dei governi sulle questioni economico-finanziarie, ecc. ecc. Ma soprattutto come produttori della moneta effettivamente in circolazione nei vari mercati, ovvero come emittenti della moneta.
Dal momento che ogni economia monetaria si basa su scambi reciproci tramite denaro, e dal momento che non vi sono limitazioni sostanziali alla geografia di questi scambi (salvo casi d’embargo), ecco che le miriadi di banche in tutto il mondo, di ogni genere e dimensione, sono di fatto strettamente connesse tra loro (telematicamente), a formare un’unica ragnatela di scambi monetari in tutte le valute, cioè un sistema bancario globale. Per questo i diversi sistemi monetari devono giocoforza relazionarsi tra loro, tendenzialmente adeguandosi ai criteri dei sistemi che dominano per dimensioni e per influenza politica, commerciale, militare. A tutt’oggi, nonostante già si avvertano sinistri scricchiolii, il sistema dominante è ancora il dollaro USA, la valuta che invade le altre economie con la famosa “dollarizzazione” del mondo intero, dagli “accordi” di Bretton Woods del ‘44, passando poi per la sospensione unilaterale della convertibilità (in oro) del dollaro nel 1971 (Nixon) e per le politiche di “deregulation” finanziaria e commerciale targate Reagan e Thatcher (anni ’80).
In pratica oggi il sistema bancario, nazionale e mondiale, produce e gestisce tutto il denaro in circolazione, realizzando il più grande trust, o monopolio (privato), della storia dell’umanità. Si può tranquillamente affermare come verità indiscussa che il controllo del denaro è affidato nei fatti al sistema bancario.
Ma chi controlla il sistema bancario, che è un misto di proprietà pubblica e privata, ma tendente alla riduzione a zero della partecipazione pubblica e politica sull’onda dell’ideologia liberista? Se pensiamo alla singola banca come ad un’azienda, interamente controllabile col pacchetto di maggioranza relativa (talvolta assai risicato, Tronchetti Provera docet), non è difficile intuire che i controllori primari delle politiche monetarie siano proprio quelle famiglie storiche, ormai transnazionali, che hanno consolidato le loro immense fortune proprio grazie all’esercizio del controllo finanziario tramite banche private, con i noti metodi tutt’altro che trasparenti e corretti, se pur leciti spesso in virtù delle loro capacità di controllo del legislatore stesso. Insomma siamo nelle mani dei campioni del privilegio finanziario, una strana forma di profitto, divenuta abnorme, che non ha mai reso in cambio alcun bene materiale per l’umanità, eccetto che per la minoranza di parassiti dell’economia altrui. Questo è l’esito scontato dell’ideologia dominante nel “mondo che conta”, interamente basata sulla logica del profitto competitivo all’interno di un utopistico “libero mercato”, che è sempre stato di tutto tranne che “libero” dallo strapotere finanziario.
E il “signoraggio”?
Che il signoraggio sia l’insieme dei redditi derivanti dall’emissione di moneta non ci piove. Questo non lo dico io ma i banchieri e perfino i debunkers del “complotto del signoraggio”. E credo che neppure i “complottisti”, dall’altro lato della barricata, abbiano nulla da eccepire nel merito della definizione del termine, almeno in questi termini così generali.
Si è appena detto poco sopra che i “soldi veri” fatti dai banchieri storici (Rothschild, Rockefeller, Morgan, Warburgs, Lazard, ecc.), quelli in grado di controllare il trust bancario, e da lì le economie e le politiche mondiali al fine di consolidare il proprio potere, ovvero un sistema che si autodetermina circolarmente, sono soldi “fatti” soprattutto tramite speculazioni finanziarie, lecite o illecite, con moneta già esistente.
Perciò non ci sarebbe alcun bisogno di scomodare il concetto di signoraggio per spiegare le problematiche di fondo relative alla questione monetaria. Tuttavia si è anche detto che l’intera massa monetaria in circolazione, in tutte le sue forme (che vanno ben oltre i limiti dell’immaginario collettivo), è praticamente prodotta e messa in circolazione, oltre che gestita a posteriori, dallo stesso trust bancario mondiale controllato dall’elite finanziaria. Sorge quindi spontanea la domanda se ci sia una relazione importante tra emissione monetaria e concentrazione di ricchezza tramite meccanismi finanziari in senso lato. E la risposta a questa domanda è certamente sì, esistono dinamiche finanziarie importanti in tal senso, direttamente legate all’emissione monetaria, che producono grandi spostamenti di ricchezza reale dall’economia fisica diffusa a quella virtual-finanziaria concentrata, sempre però convertibile in beni reali.
Basti pensare al tradizionale credito bancario di denaro “fiat”, che non esisteva prima del credito stesso, cioè della creazione dal nulla di massa monetaria circolante da parte di qualunque banca commerciale (le più “pulite”, che pure hanno questa “rogna”), operante in un sistema a riserva monetaria frazionaria e bassissima, dell’ordine del 2%. Tutti gli interessi sul denaro costato nulla alla banca mutuante sono di fatto un furto ai danni dei veri produttori di ricchezza fisica monetizzata, i mutuatari.
Per non parlare delle Banche Centrali che emettono “contante” dal nulla (o meglio da un finto indebitamento contabile), capitalizzandosi di pari importo (non a titolo di riserva a garanzia del contante emesso, ma in proprietà assoluta della BC, liberamente impiegabile al miglior rendimento).
C’è poi l’eclatante esempio in cronaca degli straordinari QE1 e QE2 della FED americana, denaro fiat distribuito “in prestito” alle banche in odore di default per mancanza di liquidità, in realtà destinato ad ulteriori speculazioni finanziarie (cosa che farebbe qualunque giocatore d’azzardo che ha perso tutto, in crisi d’astinenza dal rischio) e in ultima istanza all’acquisto di ulteriore debito pubblico, il che dimostra oltre ogni ragionevole dubbio che il “prestatore d’ultima istanza” reale è lo Stato con potere d’imposizione fiscale futura, e non una banca centrale privata che si fonda sul monopolio d’emissione del contante fiat.
Già m’immagino spiegazioni leguleie e contorcimenti mentali per “spiegare” che questi tre esempi sono falsi e fuorvianti, negando l’evidenza dei fatti, ma non importa, basta l’intuito di un bambino per capire che al casinò il banco vince sempre, perché è lui che conduce il gioco. E se c’è una crisi finanziaria mondiale, diversa e ben più profonda di quella del ’29 (quando le regole erano ancora “oneste” rispetto ad oggi), è perché il circo della finanza è del tutto assimilabile ad un casinò globale, dove i pochi gestori hanno quasi finito di spennare lo spennabile al resto del mondo. E proprio per questa evidenza, come in Grecia e in Islanda, questi nuovi re appaiono nudi nelle loro vergogne agli occhi dei semplici e degli innocenti.
Fonte: Gruppo Sovranità Monetaria