I leader giapponesi sin dall’11 marzo hanno insistito molto sul fatto che le fughe radioattive di Fukushima Daiichi non si siano diffuse in zone lontane dalla centrale, non minacciando così il resto del Paese. Addirittura per Kaoru Noguchi, responsabile della salute e della sicurezza della città di Tokyo, non solo i test già condotti sono più che sufficienti, ma le sostanze radioattive arrivate fino alla capitale si sarebbero depositate più che altro sul cemento, essendo la metropoli estremamente urbanizzata, per poi essere portate via dalla pioggia. Anche le possibili esposizioni, per la Noguchi, sono state molto limitate, perché “nessuno sta nello stesso punto tutto il giorno”.
Il problema è che, come rivela il New York Times, “le fonti ufficiali sono state ripetutamente smentite da esperti indipendenti e da gruppi di cittadini che hanno condotto rilevazioni per proprio conto”. Per il quotidiano newyorkese, “il fallimento del governo nell’agire prontamente, come afferma un crescente coro di scienziati, potrebbe esporre molte più persone di quante si fosse originariamente pensato a radiazioni potenzialmente nocive”.
Una tesi confermata da Kiyoshi Toda, medico ed esperto in radioattività presso la facoltà di Studi ambientali dell’Università di Nagasaki. “Le sostanze radioattive entrano nei corpi delle persone dall’aria, dal cibo, e sono ovunque”, avverte il dottore: “Ma il governo non prova nemmeno a informare il pubblico sulla quantità di radiazioni a cui è esposto”. Accuse pesanti, che però sembra condividere una crescente porzione della popolazione nipponica.
Complice di questa diffusione del dissenso è la rete, di cui i giapponesi sono fra i maggiori utilizzatori mondiali, che ha portato svariati gruppi di cittadini ad unirsi nella “ricerca della verità sull’incidente nucleare di Fukushima”. Un esempio su tutti è quello del Radiation Defense Project, gruppo di persone nato dalla pagina facebook Fukushima Daiichi Genpatsu wo Kangaemasu che, munitosi di dosimetri e forte della collaborazione dell’Istituto per la ricerca sugli isotopi di Yokohama, ha raccolto nella capitale campioni di suolo risultati più radioattivi delle zone contaminate intorno a Chernobyl.
Alcuni di questi campioni sono stati raccolti sotto arbusti molto vicini ai campi da baseball in cui si allenano dei bambini, dove si sono rilevati 138mila becquerel per metro quadrato ed importanti quantità di cesio-137, un sottoprodotto della fissione nucleare dell’uranio altamente tossico e cancerogeno. Ma in alcune zone si è arrivati a misurare più di 1,5 milioni di becquerel al metro quadro.
Risultati che hanno portato Takeo Hayashida, volontario del gruppo autore di queste ricerche e soprattutto padre di un ragazzino undicenne che si allenava in uno di quei campi, a decidere di trasferirsi ad Okoyama, quasi 600 km a sud-est della capitale: “Forse saremmo potuti restare a Tokyo senza problemi”, ha affermato Hayashida: “Ma scelgo un futuro senza paura delle radiazioni”.
In realtà il governo giapponese non sta ignorando del tutto le preoccupazioni della cittadinanza. Recentemente sono stati condotti controlli aerei su tutto il Giappone orientale, inclusa appunto Tokyo. Secondo molti esperti ed attivisti, però, verifiche di questo tipo non possono essere utili e precise come quelle condotte localmente da questi gruppi di cittadini, nati spontaneamente dal web.
Quando si parla di radioattività, “Chiunque vuole credere che questo sia un problema solamente di Fukushima”, dice Kota Kinoshita, membro del Radiation Defense Project ed ex giornalista televisivo: “Ma se il governo non prende seriamente il problema, come possiamo credergli?”.